Sopra
Campo di Giove passava il sentiero della Libertà, la via percorsa dai
partigiani alla ricerca della salvezza. Ne seguivamo una parte, incontrando
lungo il tragitto la piccola chiesa della Madonna di Coccia. Tra il bosco e i
vecchi sassi si manteneva lamemoria e la speranza, e l’appello alla Fortuna
per svalicare la Majella. Madonna di Coccia: L’unica notizia certa su questa chiesetta
è la data del suo restauro incisa sull’architrave: 1748. Non si hanno altre
notizie, eppure essa è ben visibile sulla via cheporta a Coccia, frequentata
da sempre sia dalla gente di montagna sia da coloro che per commercio o altra
necessità superavano il valico. Tale traffico, che giustificò la nascita del
convento di San Nicola sull’opposto versante, fu forsedeterminante anche per
la nascita di questo luogo di culto certamente più modesto ma sicuro rifugio
per il viandante. Sopra l’altare si trovava un bel bassorilievo della Madonna
che è stato rubato alcuni anni fa. L’ambiente attiguo alla chiesa,composta da
un piano terra e uno superiore, costituiva la parte abiatativa. (Notizie tratte
da un cartello informativo del luogo posto da Archeoclub – Pescara COOP
Majambiente). Il Sentiero della Libertà partiva da Sulmona e arrivava a
Casoli, dove,durante la Seconda Guerra Mondiale, c’era una sede del comando
alleato, noi lo lasciavamo nei pressi del Guado di Coccia, per continuare a
salire in direzione di Tavola Rotonda. Una lunga scia di impianti dismessi
segnava la montagna, mentre la bellezza siconcentrava maggiormente alle nostre
spalle con Monte Porrara in risalto con dietro un denso mare di nuvole. Tavola
Rotonda era imbruttita dai resti degli impianti abbandonati e dalle sue piccole
strutture ricettive di legno e cemento armato, ormai quelli erano iluoghi dell’abbandono
e poco importava alla massa se l’uomo ne aveva deturpato la percezione. Lasciavamo
tutto alle nostre spalle proseguendo lungo l’infinita dorsale della Majella. I panorami
si aprivano tra lievi saliscendi e morbidi avvallamentilunari, mirando lo
sguardo intorno a gran parte dell’Abruzzo. Ammiravamo la Sfischia, un curioso fenomeno carsico di origine tettonica, dove un
maestoso inghiottitoio si era formato nella frattura della terra. Quell’incavo
aveva squarciato la superficieper diverse decine di metri, lasciando agli
occhi la sublime percezione di un canyon profondo. Forchetta Majella segnava un
punto importante dove la gente era solita passare per raggiungere Monte Amaro,
da lì si ammirava il Morrone e la conca di Sulmona,da lì si continuava a
godere dello spettacolo lunare sulla Majella, con i contrafforti del Macellaro
e dell’Altare dello Stincone.
domenica 27 ottobre 2013
Tavola Rotonda da Campo di Giove, anello per il Guado di Coccia e Forchetta Majella
martedì 22 ottobre 2013
La Forcella Piccola di Monte Antelao
Da Forcella
Piccola osservavamo la via per Monte Antelao perdersi nella nebbia. Lì iniziava
il percorso per raggiungere il Re delle Dolomiti, dove un oracolo potente era
in grado diraccogliere tutte le incertezze dell’essere umano. Occorrevano circa
quattro ore di tempo per compiere quel tragitto reso ostile dalla neve e dal ghiaccio,
ma anche altrettanto suggestivo dallanebbia che si concentrava e diminuiva a
seconda del vento. Avevamo a disposizione solo mezza giornata e l’intenzione di
ammirare il Pelmo, così abbiamo scelto il percorso panoramicosopra San Vito di
Cadore, per poterlo guardare. Seguivamo ad anello i sentieri per il Rifugio
Scotter, il Rifugio San Marco e il Rifugio Galassi, purtroppo tutti chiusi per la
fine stagione,toccando come punto più alto la Forcella Piccola a 2120 metri di
quota. Quelle montagne affilate si assottigliavano ulteriormente con le
velature delle nuvole, tanto da alleggerirsi ancora di più. IlPelmo purtroppo
rimaneva coperto dal maltempo, ma in compenso molte altre montagne davano
sfoggio della loro bellezza. Sul ripido costone roccioso del Becchi d’Imposponda
ungruppo di camosci ci osservava infastidito dalla nostra presenza. C’eravamo
soltanto noi e loro, e potevamo ascoltarli fischiare dandosi l’allerta.
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lunedì 21 ottobre 2013
Maso Corto e la Val Senales
L’autunno
alpino mostrava un’altra prospettiva di quello che conoscevamo, così composto
da larici, pini neri e abeti rossi, verteva a sfumare maggiormente le tonalità
fredde dall’ocra alverde al blu. Di tanto in tanto qualche acero raccoglieva
su di sé la percezione dei rossi, ma tuttavia non riusciva a scaldare la
visione d’insieme così come facevano i boschi dell’Appennino.Maso Corto si
inseriva in un complesso di montagne altissime, abbellite dal contrasto della
roccia nera con il candore dei residui di neve. La scorsa settimana
un’abbondante nevicata avevaanticipato l’inverno, ma negli ultimi giorni le
calde temperature portate dallo Scirocco l’avevano sciolta quasi tutta a quota
duemila metri. Ci trovavamo lì in occasione di un meetingorganizzato da
Fischer, Swix e Wintersteiger per testare i nuovi materiali dell’inverno
2013-2014. La funivia per la Val Senales saliva a quota 3212 metri, lasciando
scoprire durante l’ascensionela testa delle Alpi Venoste. Lo sguardo ammirava
l’inverno perenne dei ghiacciai, moltissimi atleti delle più importanti
nazionali europee dello sci da fondo si trovavano lì in corso diallenamento:
leggevo sulle loro divise i nomi di Norvegia, Finlandia, Italia, Germania,
Estonia, Russia, Francia, Romania, e di molte altre ancora. Era bello guardarli
compiere queimovimenti perfetti, sia da vicino che da lontano, dove apparivano
come punti colorati in movimento su di una superficie bianca e bellissima.
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venerdì 18 ottobre 2013
Le Betulle della Valle di Teve
Il
Vallone di Teve si incassava tra i maestosi rilievi di Murolungo e Monte Rozza,
lasciando leggere a tratti la sua conformazione di origine glaciale. Il suo bosco
era talmente fitto da ostacolare qualsiasi raggio di sole, eravamo nel pieno di
lunga zona d’ombra,e ci rendevamo conto di quanto fosse scuro il luogo dove
camminavamo osservando il contrasto degli sfasciumi laterali investiti dal sole,
così bianchi da sembrare neve. Eravamo alla ricerca di una specie di pianta che
solitamente non cresce nelnostro territorio perché appartiene a climi più
freddi, ma che nel Vallone di Teve riusciva ad esistere, poiché era un residuo
degli ultimi cicli glaciali: la Betula Pendula.
Quei pochi esemplari di betulla stabilivano nel Vallone di Teve una delle più
rare stazionidi presenza spontanea dell’Italia centro-meridionale, quasi non
volevo crederci quando le scorgevo tra le altre piante, il candore della loro corteccia
le contraddistingueva, ma rimanevo sempre in dubbio se potessero o no essere loro,
a causa dell’ombra delvallone incassato, se quel candore fosse la loro
caratteristica oppure figlio di giochi di rifrangenza. Quegli alberi apparivano
come presenze seminascoste, si scovavano solo se cercati, altrimenti non
avrebbero mai preso rilievo tra quei faggi maestosie quei lecci secolari, si
nascondevano e pareva come se preferissero passare inosservati, protetti dall’uomo
in quel magnifico canale boscoso.
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domenica 13 ottobre 2013
La Val di Rose e la Valle Jannanghera
Civitella
Alfedena si pacificava nella quiete del mattino, la prima luce dell’autunno
filtrava tra i muri di pietra bianca e le strade lastricate, rischiarando
quell’antica bellezza tipica dei paesid’Abruzzo, dove la tradizione, la storia
e le consuetudini erano un tutt’uno con la pietra che li componeva. L’imbocco
della Val di Rose si apriva al di sopra del paese, impreziosito dal maestosobosco che lo sovrastava, mano a mano che salivamo il verde del fogliame si
stemperava nelle tonalità della ruggine, scaldando la visione d’insieme.
L’autunno iniziava ad indossare le sue vesti,ammiravamo il principio della
danza delle prime foglie cadenti, e la timida bellezza dei ciclamini selvatici,
che, come presenze preziose, facevano capolino nel sottobosco, mentre una lucearancione velava l’aria delle caratteristiche di ottobre. La parte sommitale
della Val di Rose si apriva al cospetto del maestoso circo glaciale tra Monte
Boccanera e Monte Sterpi d’Alto,rivelando ghiaioni e sfasciumi, e la modesta
presenza dei camosci appenninici. Dal Passo del Cavuto potevamo ammirare
tantissime riserve integrali e molte delle più famose località escursionistichedel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, eravamo al di sopra della
Camosciara ed avevamo anche un colpo d’occhio bellissimo su Monte Petroso e
Monte Capraro. Il Rifugio di Forca Resuni,poco al di sotto dei duemila metri,
ci accoglieva in fase di ristrutturazione, lo sguardo si apriva verso Ovest
sopra un’ampia distesa di montagne, mentre ad Est continuava il nostro percorsonella Valle di Risione, anticamera superiore della Valle Jannanghera.
Quest’ultima godeva del privilegio della foresta vetusta: giganteschi faggi
plurisecolari giacevano nel bosco comesuoi custodi, l’autunno faceva da
cornice alla loro maestosità, filtrando tra i rami una luce dorata.
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