Il caldo intenso della primavera ci accompagnava nel nostro percorso in moto, prima di raggiungere Matera volevamo andare a Melfi, per ammirarne il bellissimo castello, e l’abitato di Venosa, con l’intenzione di visitarne l’Incompiuta. Notavo in tutti i castelli di Federico II una maestosità misteriosa, quell’enorme fortezza normanna si innalzava sull’antico abitato di Melfi prendendosi dasolo tutta l’importanza. Una guida turistica ci designava le caratteristiche del castello, le riporto di seguito. Temevamo l’ignoto, cercavano di esorcizzare il buio oltre la morte rincorrendo l’immortalità. Ed erano raffinate, amanti del bello e rispettose degli Dei. Così le genti che vivevano nel territorio Nord della Basilicata, fra il VII ed il III sec. a.C. appaiono nei ricchicorredi delle loro tombe, ricostruite nelle sale del Museo Archeologico di Melfi che racchiude una collezione di fulgide armature, di raffinati gioielli, di oggetti parlanti di un tempo appartenuto a uomini, donne, bambini, sacerdoti. Melfi godeva di una posizione strategica, ai confini con la fiorente Daunia, percorsa da fiumi che, come autostrade dell’antichità, lepermettevano di essere in collegamento con l’area etrusca campana e la costa jonica appena colonizzata dai Greci. Queste favorevoli coordinate geografiche avrebbero convinto l’imperatore Federico II di Svevia a scegliere Melfi come sede di uno dei suoi castelli e come luogo da cui emanare, nel 1231, le “Costituzioni Melfitane”, corpo di leggi rimasto in vigore finoall’epoca moderna. Le sepolture ricostruite nelle diverse sale del museo ridanno vita a valorosi guerrieri sepolti con le loro lance, con le loro armature (elmi, schinieri, corazze forgiate su misura, cinturoni, scudi) e con gli oggetti che rappresentavano il grado sociale del defunto, come corredi da banchetto: bacili in bronzo per la bollitura delle carni, che testimoniano i contatti con lepopolazioni etrusche della Campania, spiedi, vasi per bere di produzione corinzia, prova di relazioni con le genti di stirpe greca che si erano insediate a partire dal 640 a.C. sulla costa ionica (Metaponto), crateri, olle (grandi contenitori in terracotta per contenere e conservare derrate alimentari), attingitoi. Le ceramiche, un unicum quelle di provenienza canosina (latradizione della lavorazione della ceramica in Puglia ha infatti origini lontanissime), con i vasi che si caratterizzano per la presenza, sui manici o all’estremità, di volti femminili a diverse grandezze, la liturgia dei banchetti ed il loro valore sociale. Se “molto si miete in guerra, per un raccolto sempre scarsissimo” come si legge tra gli scritti di Quinto Orazio Flacco, quello che siraccoglie invece dell’arte della guerra in questo museo ha il sapore della ricchezza e del potere. Le armature dei capi guerrieri, che erano dapprima opliti (soldati di fanteria) e poi divennero cavalieri, fossero dauni o lucani, sono lì, fiere e splendenti come chi le doveva aver indossate o commissionate come status symbol, ad accogliere il visitatore. Persino i cavallidovevano seguire il piglio del comando di chi li possedeva, ed erano anche loro addobbati con maschere in bronzo (prometopidia) e pettorali da parata, e tanto per ribadire il valore del defunto, assieme alle proprie non di rado venivano sepolte assieme anche le armi che costituivano bottino di guerra. Qui nel museo ben lo si vede, ad esempio, una tomba rinvenutanella località dell’antica Ferentum, oggi Lavello e qui ricomposta. (Tutte le informazioni riportate in corsivo sono state tratte da “Archeonauta – itinerari nel tempo a spasso per la Basilicata”, i cui testi sono stati scritti da Margherita Romaniello).
Museo Archeologico Nazionale “Massimo Pallottino” a MELFI, Via Castello – tel. (+39) 0972 238726. Orari: lunedì 14.00-20.00; martedì-domenica 9.00-20.00; chiusura settimanale lunedì mattina.
Deve essere veramente un gran bel posto!
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