I pensieri risuonavano in quell’orrido inavvicinabile, come se dentro la testa avessero trovato la generazione di un eco. Quella roccia impenetrabile, così fredda e vecchia, si innalzava come una vertigine mostruosa. Rimanevamo in silenzio ad ascoltare ilrumore sordo dei sassi che si staccavano dalla parete, il loro battere sulla propria roccia madre, fino a sbriciolarsi nel fondo. Da lì la parete Nord di Monte Camicia assumeva tutta la sua massima espressione, era repulsiva da ogni angolazione, ericordava agli uomini il loro essere mortali. Lo strillo di un’aquila riecheggiava nel cielo, lasciandoci ammutoliti della sua inconfondibile presenza. Un enorme masso di roccia portava la memoria di due nomi, quello del pilota Marco Adinolfischiantatosi sulla parete e quello di un giovane alpinista aquilano, Piergiorgio De Paulis, a cui avevano dedicato proprio il percorso per raggiunge il Fondo della Salsa. Due storie differenti, entrambi da raccontare. Il 6 aprile del 1994 Monte Camicia si avvolgevanella nebbia, quella scarsa visibilità inghiottiva ogni cosa: il comandante Marco Adinolfi dell’Aereonautica Militare si era schiantato sulla parete Nord con il suo aereo cacciabombardiere AMX della base di Istrana, all’età di 27 anni, lasciando perdere suquella roccia tutte le sue tracce. Quattro anni prima, l’8 novembre 1990, questo giovane pilota si era già salvato da una morte simile, nelle campagne dell'Oltrepò pavese, riuscendo a lanciarsi con il paracadute, ma purtroppo adesso il destino non gli riservava unaseconda possibilità. I suoi commilitoni ne omaggiavano la memoria con una spada infissa nella roccia, e con un numero scritto con le pietre sopra la testata del Vradda: 264^, forse il numero della compagnia. (Quest’ultima notizia è senzafonte). Venti anni prima c’era la storia di Piergiorgio, un giovane alpinista aquilano impegnato alla prima ascensione invernale sulla parete Nord di Monte Camicia. Era la Vigilia di Natale del 1974. Nel dicembre del 1974, Domenico (Mimì) Alessandri, CarloLeone e Piergiorgio De Paulis, si cimentano anch'essi nell'impresa invernale. Dopo il tentativo di D'Angelo e Muzii, solo altre due cordate hanno percorso la parete, ma d'estate. Una di queste era condotta dallo stesso Alessandri, esperto alpinistaaquilano, con all'attivo difficili ripetizioni invernali e belle vie nuove nel massiccio del Gran Sasso (Diretta alla parete est dell'Occidentale, Diretta al terzo pilastro del Paretone). De Paulis, 19 anni, è il più giovane del terzetto, ma è già un alpinistacapace e animato da grandissima passione. Come ha scritto Alessandri, "era il migliore della sua generazione, a L'Aquila, in quel momento. Aveva, specialmente su ghiaccio, una tecnica istintiva che gli consentiva di muoversi con velocità e sicurezzanon comuni". La sera del 23 dicembre i tre sono ormai alti nella parete, all'altezza di un caratteristico forcellino e si accingono al terzo bivacco. Hanno proceduto lentamente, ma tranquillamente, su di una parete ghiacciatissima, utilizzando quello che era l'attrezzatura dell'epoca: ramponi tradizionali e la sola piccozza a becca dritta. Scrive Alessandri: "La tragedia ci piombò addosso, imprevedibile, fulminea, a sera quando, già fermi, operavano indipendentemente l'uno dall'altro nella preparazione del bivacco. Sullo sfondo bianco della montagna intravidi la sagoma di Piergiorgio, che si muoveva a pochi metri da me, volare indietro nel vuoto senza neanche un'esclamazione o un grido e scomparire in basso. Aveva preparato il suo ancoraggio con due chiodi, a venti centimetri uno dall'altro, nella stessa fessura orizzontale, vi aveva appeso del materiale trascurando di collegarli e si era agganciato al primo senza accorgersi che il secondo, più grosso, dilatando la fessura, ne aveva compromesso la stabilità". Alessandri e Leone rimangono soli e impotenti di fronte alla tragedia che si è compiuta silenziosa davanti ai loro occhi. Una breve perturbazione arriva a infierire in una notte già terribile. Cadono sassi, Leone viene ferito, è sotto shoc, e non è in grado di continuare. "Il buio della notte e il silenzio della montagna avvolgevano tutto in una quiete cosmica, ma sul piccolo terrazzino di ghiaccio, piombati in un indescrivibile stato di angoscia, iniziavamo una dura battaglia per la vita e ci accingevamo a superare la più tragica notte della nostra esistenza. Il profondo stato di angoscia vissuto per l'intera notte, in un assurdo dialogo con la morte, si dissolse di colpo alle tre del mattino", quando Alessandri matura la decisione di uscire da solo: "la via della vetta sembrò la più rapida, la più sicura, l'unica via d'uscita...". Mimì scala per ore ed ore, in una condizione mentale straordinaria. La concentrazione estrema scaccia la disperazione e la salita è accompagnata dalle "presenze" di Piergiorgio e di tutte le persone care che danno ancora senso a quello che sta facendo. Alle quattro del pomeriggio è fuori. "Mi sentivo come uno che fino a un momento prima era convinto di morire e si ritrova ancora vivo". L'operazione di soccorso del giorno dopo, a cui partecipa lo stesso Alessandri, è degna di menzione. Per la prima volta, infatti, viene impiegato in Appennino un elicottero per un recupero in parete. L'elicottero pilotato dal tenente Fischione, benché non specializzato in questo tipo d'interventi esegue una difficile manovra in "overing" e recupera col verricello Carlo Leone. La Nord d'inverno è stata in qualche modo superata, ma per i sopravvissuti "la salita fu, sotto il profilo umano e alpinistico, senza dubbio un fallimento, poiché non c'è parete al mondo che valga la vita di un uomo". Dopo questa vicenda dovranno passare tredici anni prima che qualcuno osi sfidare di nuovo la parete nella stagione fredda. (Tratto da qui).
Paolo De Angelis, Roberto Iafrate e Piergiorgio De Paulis dopo una salita allo Sperone Centrale del Corno Grande.
Paolo De Angelis, Roberto Iafrate e Piergiorgio De Paulis dopo una salita allo Sperone Centrale del Corno Grande.
”… Il 24 dicembre, vigilia di natale PIERGIORGIO moriva cadendo alla parete nord del Camicia. Non c’erano cellulari e la richiesta del soccorso fu portata personalmente da Mimì che salì da solo la parete. La notizia ci colpì come un maglio. Organizzare un soccorso su quella parete era quasi impensabile. L’unica possibilita’ era di salire sulla cima e poi di calarsi con un verricello sull’immensa parete ghiacciata che peraltro nessuno di noi conosceva. Ma ci sono dei limiti sulla lunghezza del cavo d’acciaio e sulla possibilità di spostarsi lateralmente. Ritirare su un pesante cavo d'acciao lunghissimo con due persone appese presenta difficoltà estreme. L’ambiente severo, al buio, il ghiaccio, le condizioni psicologiche dei soccorritori, tutti amici di Piergiorgio, certo non aiutavano nell’operazione. E’ vero che c’erano i professionisti del SAGF della Finanza, ma il soccorso era al limite delle possibilità umane. Un elicottero appositamente inviato sicuramente salvò qualche vita che sarebbe stata messa a repentaglio nel soccorso, considerando che nessuno si tirò indietro. Carlo fu portato rapidamente giù dall’elicottero, ma recuperammo mestamente Piergiorgio 800 metri più in basso…..Molto si è scritto sulla tragedia, molto si è detto. Hanno parlato più di tutti coloro che non conoscevano Piergiorgio o non conoscevano la montagna. A me non interessava nulla di ciò che era stato scritto o detto. Io sapevo solo che non sarei più andato con lui a dormire con le amache, appesi sotto il balcone della sua villa, al secondo piano, per prepararci ai bivacchi notturni. Sapevo che nessuno mi avrebbe più costretto a portare l’acqua al rifugio e che forse non avrei più cercato un compagno per arrampicare. Anzi, sapevo che forse non avrei più arrampicato………le cose andarono diversamente e dopo molti travagli psicologici, l’anno successivo, tornai sulle pareti.A tanti anni di distanza non mi piace ricordare quei giorni. Cerco di cancellare ancora la funzione religiosa e la gita commemorativa al Fondo della Salsa il mese successivo. Andammo tutti noi del Soccorso, gli amici della Finanza e del CAI fino sotto la parete nord del Camicia, dove innalzammo una targa e dove un sacerdote ricordò Piergiorgio. Avrei voluto non esserci andato, ma c’ero..”
RispondiElimina“…La mattina del 4 agosto, così come molti altri giorni, mi accingevo a partire da Campo Imperatore, quando mi sentii chiamare. Era Piergiorgio, che si concedeva un po di riposo dal lavoro al rifugio duca.Non che potesse concedersi del riposo, era che se lo prendeva, allontanandosi per qualche ora per salire qualche via. Quella mattina, come al solito, mi catturò per portare la solita tanica di 50 litri di acqua dopodichè saremmo andati ad arrampicare. Piergiorgio conosceva la mia velocità e la cosa gli faceva comodo per tornare presto al lavoro. Egli mi conosceva come compagno,però io conoscevo lui. Era superbo in parete, sembrava non avere peso, nessuna difficoltà traspariva nei suoi gesti, anche quando arrampicava su difficoltà estreme. Si può dire che arrampicava come oggi fanno i free-climbers, ma con venti anni di anticipo.La sua mentalità alpinistica era troppo avanti per i tempi, forse anche per me, che mi trascinavo dietro i retaggi del vecchio alpinismo. Egli osava dove gli altri, in quei tempi, neppure osavano pensare. Una volta eravamo all’attacco di un tetto. Egli partì per primo perché voleva tentare di salirlo senza usare le staffe, così come scritto sulla guida. Per quei tempi era impensabile. Il tetto si trovava a circa 200 m. dalle ghiaie ed era sporgente circa due metri nel vuoto. Un’esile cengia correva alla base del tetto e li ci fermammo.Piergiorgio mi raccomandò di stare attento perché non avrebbe usato staffe. Salì come un ragno, sembrava che le sue dita fossero fornite di ventose e quindi arrivò all’uscita del tetto. Sentii il moschettone passare su un chiodo e quindi mi disse di tirare. Io tirai e…… la corda venne giù. Piergiorgio non aveva fatto il nodo all’imbragatura!Piergiorgio mi impose di passare arrampicando. Io mi accinsi a salire con la sicurezza di avere la corda avanti, ma era così lenta che, quando arrivai all’orlo del tetto e mi cedettero le mani, precipitai per almeno 15 m.nel vuoto assoluto prima che riuscisse a fermarmi. Il successivo tentativo andò immediatamente a buon fine grazie alla paura. Questo era Piergiorgio. A me piaceva andare con lui perché egli osava ciò che per me era tabù e mi trascinava in passaggi che mai avrei tentato.
RispondiEliminaQuella mattina quindi fui felice di portare i miei 50 l. di acqua. Arrivati al rifugio ci sedemmo un momento e decidemmo per LO SPERONE CENTRALE. A quel tempo arrampicare la sua placca con gli scarponi rigidi non era per nulla facile. La guida riporta 5 / 6 grado. La sua enorme placca era attrezzata con un solo chiodo malfermo dopo 30 m. Oggi numerosi spits sono infissi nella roccia e quindi è un piacere arrampicare in tutta sicurezza. Sotto il Sassone, seduto, incontriamo Roberto, il quale ci aveva visti e si era fermato ad aspettarci.“Posso venire con voi ?” . Era un onore arrampicare con Roberto. Dopo Mimì, Roberto era unanimamente riconosciuto come l’alpinista più forte a l’Aquila. Nei numerosi soccorsi fatti con lui questa qualifica se l’era meritata anche ai miei occhi. La via non ebbe storia con due rocciatori così. Io tirai fino al 5 grado, poi lasciai il passo a Piergiorgio che non seguì la via e ci tirò su difficoltà superiori al 6.
Arrivammo in un attimo in cima. Ci sedemmo in vetta e cacciammo tutte le nostre cibarie. Un amico del CAI ci fece una foto e poi me la dette. Gli sarò riconoscente per tutta la vita perché quella fu l’unica e l’ultima foto con Piergiorgio”
..Sono ricordi che spesso mi svegliano la notte e non sono sicuro se veramente li ho vissuti, o sono solo SOGNI......
Ciao Paolo, mi piacerebbe tanto pubblicare qui la vostra foto...
RispondiEliminaok
RispondiEliminaciao
Quel natale del 1974 sembrava ormai dimenticato, forzatamente perso nei meandri della memoria, distrutto dalle occupazioni quotidiane, dai problemi della vita, dalle altre disgrazie, dalla presenza dei figli. Ma accadde poi che nel 1989 decisi di portare al fondo della salsa mia figlia e i suoi amichetti. Erano passati 15 e anni e avevo letto che nel frattempo avevano battuto un sentiero. Una chiassosa e indisciplinata comitiva di piccole pesti si incamminò verso la montagna. Avevo solo occhi per controllare i movimenti dei furetti che comparivano e scomparivano tra gli arbusti ai margini del sentiero. Urla, risate, scherzi reciproci non mi avevano fatto alzare gli occhi. Era piena estate, il sole alto, scaldava i corpi sudati. Eravamo partiti molto tardi, ormai era già passata l’ora del pranzo e tutti i loro famelici stomaci reclamavano con insistenza l’agognata “stozza”. Li zittii ed intimai loro di continuare il cammino, promettendo un’avventura tra i sassi del rigagnolo che si getta dal fondo della Salsa. Come Dio volle arrivammo sani e salvi sotto la parete. 15 anni fa c’era un accumulo di neve alto circa 20 m, come un palazzo, che troneggiava su di noi. Un fiume di acqua usciva da una buia grotta alla sua base. IL sole era ormai nascosto dalla parete. Con tutti i bimbi seduti al sicuro, alzai finalmente gli occhi al cielo e vidi….vidi una parete ghiacciata, piccole valanghe scivolavano verso di noi che come automi, frastornati, ci aggiravamo alla sua base alla ricerca di…….di che cosa? Di un mucchio di ossa…..di un amico. Le mani gelate dal freddo, ma un freddo che non era esterno, veniva da dentro, non poteva essere combattuto. Quante volte con piergiorgio, ad ogni nevicata in città, andavamo in giro perennemente con una palla di neve tra le mani per abituarci al freddo, quando tutti portavano pesanti guanti! Cosa era servito? Ora le mani gelavano, il sangue si fermava. Ora, tra i bimbi, guardavo tra le rocce, tentando di scorgere il punto dove era successo…..guardavo il pezzo di cielo che aveva accolto il volo, ero silenzioso. I miei monelli erano seduti, forse il silenzio che era sceso tra di loro era dovuto alla fatica, forse era il posto che incute rispetto. Seduti gomito a gomito, tutti guardavano in alto. Tutti seguivano il mio sguardo. Allora mi destai, scesi dalla parete ghiacciata…. e raccontai….raccontai, seduto in mezzo a loro una favola. La favola di un amico che saliva sulla parete per cercare un tesoro che lo avrebbe fatto ricco. Il tesoro però era protetto da una strega malvagia che precipitava giù chiunque tentasse di impadronirsene. Ma il mio amico era un’impavido e riuscì ad impossessarsene nonostante che la strega facesse del tutto per impedirglielo, scagliandogli addosso pietre e valanghe. Il tesoro consisteva in un regalo bellissimo: un paio di ali che permettevano di volare dovunque si volesse. L’ultimo tentativo della strega andò a buon fine ed i mio amico precipitò nel vuoto. Ma ormai aveva le ali e dopo pochi secondi sapeva ormai volare. Si librò nell’aria e salì verso la parete, verso il sole….ancora vola lassù.. Tornai giù con il cuore e le mani più calde. Chissà, forse veramente ancora vola lassù.
RispondiEliminaUn luogo è in grado di contenere tante di quelle cose che solo a pensarci si ha l'intuizione dell'universo. Quante cose si perdono, quante si dimenticano, a pensarci mi viene una gran tristezza..
RispondiElimina« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi,navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
RispondiEliminae ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire. »
Da "Blade runner" Ricordi? E'la frase finale detta dal replicante Roy pria di morire (essere spento)...molto bella....molto triste...
Vorrei dire agli amici di Piergiorgio che ogni anno, il 26 dicembre il Cai di Castelli lo ricorda con una fiaccolata dal fondo della salsa.
RispondiEliminaVorrei potermi mettere in contatto con loro, magari attraverso il Cai di Castelli
bepi
Grazie, metto di seguito il link del sito:
RispondiEliminahttp://www.caicastelli.it/
http://viaggievisioni.blogspot.it/2012/12/24-dicembreil-mio-amico-piergiorgio.html
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