Le cime delle montagne oscuravano le loro teste, in molte zone c’erano ghiaccio, nebbia e schiaffi di tramontana, mentre in altre solo pioggia e zolle scoperte. Desideravo molto visitare l’eremo di Santa Colomba, una minuscola chiesetta posta a ridosso del versante teramano del Gran Sasso, all’incirca più di mille metri sotto le Torri di Casanova. Il Gran Sasso visto da lì celava la suaimponenza coprendosi di nebbia e di mistero, era bellissimo percepirlo in questo modo, perché diveniva ancor più suggestivo, quasi a voler marcare la presenza della Santa. Il percorso per l’eremo saliva serpeggiando nel bosco, e mano mano si copriva di una neve intatta che aumentava in relazione alla nostra progressione: giunti all’eremo circa un metro di neve ridisegnavail livello del suolo. Montagna di santi, briganti, diavoli e tesori, queste balze rocciose e selvagge sono state testimoni di storie appassionanti che la cultura popolare ci ha tramandato. E proprio su Santa Colomba la fantasia popolare ha costruito una delle leggende più belle. Nata da famiglia nobile abitava insieme al fratello Berardo nel Castello di Pagliara. Ma, come spessoavveniva in quei secoli, sia lei che il fratello rinunciarono ai fasti e agli agi di quella vita e, abbandonando quel comodo riparo cercarono “un sito dove tacere perfettamente il rumore del mondo”. Berardo si spostò verso la Valle del Mavone e, in merito alla sua santità divenne poi Vescovo e Patrono di Teramo. Colomba invece preferì l’esperienza della montagna e si rifugiònei boschi che scendono dal Prena. Come nelle migliori agiografie ritroviamo la santa compiere svariati miracoli, dall’incontro con lupi ed altre fiere, all’improvvisa apparizione di frutta su alberi fuori stagione. E proprio il fiorire delle ciliegie permette a Colomba di sfamare il fratello che, giunto lassù nel mese di gennaio, voleva avere da lei il consiglio se accettareo meno l’investitura di Vescovo. purtroppo proprio quella notte la santa spirò e toccò al fratello seppellire il corpo ormai scheletrito dagli affanni e dalle rinunce. Il giorno dopo tutto il paese salì in quel posto e poté vedere il ciliegio carico di frutti. Da allora il culto della Santa continua, ma nel tempo questo è sopravvissuto solo a Pretara, dove ogni anno, in occasione dellafesta di S. Colomba, viene effettuato un pellegrinaggio fino alla chiesetta. Questa fu fatta erigere da Berardo nel XII secolo e restaurata nei secoli seguenti. Inoltre lungo il percorso si trova un masso dove è rimasta l’impronta della Santa ed un altro con impresso il suo pettine. (Tratto dal libro Gran Sasso, le più belle escursioni – di Alberico Alesi, Maurizio Calibani eAntonio Palermi). Nei pressi della piccola chiesa un cartello dell’Archeoclub di Pescara forniva alcune informazioni a riguardo che riporto fedelmente: Possiamo sicuramente dire che il culto di Santa Colomba nella zona ha antiche origini. Per quanto riferisce il Petrilli, il vescovo di Penne S. Anastasio, morto nel 1219, consacrò la chiesa di S. Colomba che era stata eretta dal fratelloS. Berardo. È comunque certa l’esistenza, nell’anno 1328, di una chiesa dedicata alla Santa, che pagava le decime nella misura di “carlenum unum et gr. duo”. Nel 1647, come leggiamo sulla lapide murata di lato all’altare della chiesetta, il sacerdote Tattoni di Isola, restaurò il luogo di culto nel periodo in cui esso era affidato ad un certo eremita fra’ Giovanni. Nella prima metàdell’Ottocento vi giunse fra’ Nicola, il quale, risiedendovi saltuariamente, restaurò la chiesa e vi aggiunse una piccola stanza per l’eremita. Ogni 1° di settembre, dalla frazione Pretara di Isola del Gran Sasso e da alcuni paesi vicini, numerosi pellegrini giungono alla chiesetta ed all’interno non è raro vedere i fedeli accostarsi all’altare e introdurre le braccia o latesta nella piccola buca laterale. È la “fenestrella confessionis”. L’introduzione, il passaggio della parte dolorante del corpo nelle sepolture o nei reliquiari dei santi rappresenta una particolare forma di litoterapia. (Realizzazione Archeoclub – Pescara – Majambiente a.r.l.). Sulla via del ritorno, poco prima di giungere a Pretara, un altro eremo aveva catturato la nostra curiosità, eraquello di Frà Nicola, conosciuto anche come Eremo di Frattagrande. La facile accessibilità lo vedeva collocarsi proprio sul bordo della strada asfaltata. Anche qui un cartello dell’Archeoclub di Pescara ci forniva alcune informazioni: Nonostante Fra’ Nicola fosse ormai avanti con gli anni, intraprese la costruzione di questa chiesetta con romitorio sottola grotta di Frattagrande, a poca distanza dalle acque del torrente Ruzzo. Tutto ciò avveniva qualche anno prima del 1856: in un suo passaporto risulta, infatti, che in tale data egli era già dimorante a Pretara. Il comune nel 1873 concesse a Fra’ Nicola un’area circostante il romitorio per la sua opera meritoria di abbellimento dei dintorni della chiesetta e per i restauri da luieffettuati a S. Cassiano. Negli ultimi anni della sua operosa esistenza, non potendo più girare per la questua, gli fu offerta ospitalità dai Padri Passionisti, ma egli rifiutò preferendo continuare la sua vita di stenti e solitudine. Morì il 23 febbraio del 1886. Il municipio di Isola si occupò delle esequie incaricando il prevosto Nicola Iezzoni di compiere le epigrafi cheriassumessero la sua vita spirituale. Fu sepolto sotto il piccolo organo che aveva costruito e nella cassa fu posta, in un tubo di stagno, una pergamena nella quale erano ricordati i fatti più salienti della sua vita. Il nostro eremita anche in vita doveva godere di una certa notorietà a giudicare dalle numerose visite che riceveva nel suo eremo e spesso da parte di personaggiillustri quali Michetti e Barbella. Anche il Romani, pochi mesi prima che Fra’ Nicola morisse, andò a fargli visita a Frattagrande e descrisse in seguito, in maniera particolareggiata, l’eremita e il suo eremo. (Realizzazione Archeoclub – Pescara – Majambiente a.r.l.).
domenica 20 marzo 2011
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