







Ci sono montagne e montagne, quelle da raggiungere a fatica e quelle che abitano nel cuore. Sono fatte da affetti e da ricordi. Sono piccole dimensioni locali le cui chiavi d’accesso si tramandano di generazione in generazione. Questa poi appartiene a mio padre: veglia sul paese che l’ha visto da bambino. E a me piace molto rispettare queste cose. Mi piace pensare al fatto che
era sempre presente durante la sua infanzia. Nonostante sia così vicina a me, non c’ero mai salita sopra. Finalmente oggi, con alcuni amici, ci sono andata su, per guardare il mio piccolo paese
dall’alto. Sono pendenze morbide, vestite d’erba riarsa al sole che mossa dal vento brillava come l’oro. C’era una bella sensazione di pace lassù: a un paio di ore dal tramonto le montagne perdevano
la loro netta visibilità e si acquerellavano in monocromie che sfumavano l’indaco. Sulla carta questa piccola montagna prende il nome di Monte il Pago (1521 m), ma nel paese da sempre la chiamano “Cucuruzza”.
So' sajitu aju Gran Sassu,
so' remastu ammutulitu...
me parea che passu passu
se sajesse a j'infinitu!
Che turchinu, quante mare,
che silenzio, che bellezza
pure Roma e j'atru mare
se vedea da quell'ardezza.
Po' so' jitu alla Majella,
la muntagna è tutta 'n fiore;
quant'è bella, quant'è bella,
pare fatta pe' l'amore!
Quantu sole, quanta pace,
che malia la ciaramella
ju pastore veja e tace
pare ju Ddiu della Majella.
Po' so' jitu alla marina
e le vele colorate
co' ju sole la mmatina
se so' tutte 'Iluminate.
Se recanta la passione
ju pastore alla montagna,
ji responne 'na canzone
dajiu mare alla campagna.