La bellezza della
Sardegna era nelle sugherete piegate dal Maestrale, nel granito rosso delle
montagne, nel silenzio dei nuraghe
checontavano i millenni. A Cala Luna
il candore del calcare metteva in risalto l’azzurro del mare, che diveniva
specchio nei meandri dellaGrotta del Bue
Marino. Le concrezioni si aggrumavano in strani speleotemi, come eccentriche mai viste che nessuno mi sapevaspiegare. Mi piaceva la Sardegna e il suo carattere simile a quello d’Abruzzo,
fatto di gente dall’animo forte e gentile. Da Cala Gonone alGolfo di
Orosei, e poi ancora tante altre strade percorse in moto nel massiccio del Gennargentu, fino ad arrivare alla Torre delle Stelle.Scendevamo verso
Sud. La Statale Orientale Sarda passava
per il Parco dei Sette Fratelli, attraversando
un magnifico canyon di granito rosso,tra lame affilate e taglienti ammorbidite
dai lecci. I fichi d’India portavano il carico dei loro frutti, sotto un sole
rovente e il cantoassordante delle cicale. Il Castello di Acquafredda del Conte Ugolino si animava del lamento
delle poiane, mentre dalla torre più alta vedevamouna distesa di campi arati
bruciati dal sole. La lingua di terra sarda che si estendeva verso Sant’Antioco viveva della laguna, di ristagnisvaporati di sale, bianchissimi, che svelavano l’equilibrio di fenicotteri
rosa. Sulla spiaggia riecheggiava il suono della risacca e la nenia diritornelli
di varie sinfonie fischiate al vento. La costa di Cagliari e la montagna sarda
apparivano come velature. Tra la Torre
Canai e laSpiaggia Turri l’acqua
limpida svelava un universo profondo dove nuotare era come volare. Tantissimi
pesci, occhiate, sogliole, scorfani,orate danzavano nella poseidonia verde,
mossa come i capelli della fanciullezza al vento. Sott’acqua assistevamo al
pasto dei pesci cheindisturbati mangiavano i resti di un granchio, mentre
bollicine d’aria partivano dalla sabbia individuando forse mitili o vongole. Entravamotra il silenzio dell’acqua, nel regno dei fluidi. Era la Spiaggia di Coaquaddus. Il Maestrale batteva tra il Faro di Mangiabarche eCalasetta, spingendosi oltre tutta la
costa occidentale dell’Isola di Sant’Antioco.
L’entroterra spoglio e assolato si vestiva soltanto di bassevegetazioni di
lentisco e cespugli selvatici di macchia mediterranea. Cala Sapone oltre al suo spicchio di spiaggia si contornava dellabellezza di scogli neri e lisci, dove i cristalli di sale mostravano il loro
migliore contrasto. Una signora anziana stava seduta sugli scoglirivolta al
mare, cantava una nenia lontana e familiare, che mista al suono delle onde
infrante mi giungeva con estrema dolcezza. Ancheun’altra signora cantava,
affidavano le loro parole al mare, chissà cosa rappresentava per loro questo
mare, le loro parole erano leggere come ilvento e intense come l’oblio ancestrale.
Non trovavamo la Porta d’Oro di Pula
e rimaneva soltanto la leggenda della musca macedda. Ifenicotteri rosa stavano
in equilibrio nelle paludi, sugli specchi d’acqua delle saline, dove il loro
riflesso vibrante si amplificava.
domenica 4 settembre 2016
Sardegna in moto dal Golfo di Orosei all'Isola di Sant'Antioco e il Massiccio del Gennergentu
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