sabato 4 giugno 2011

Il Riparo Ermanno de Pompeis sotto l'Eremo di San Bartolomeo in Legio

L’Eremo di San Bartolomeo in Legio non si soffermava a comporsi solo del Sacro: la dimora dei Santi e dei fedeli si tesseva di una storia ancora più antecedente a quella condizione, come se il passaggio stesso dell’uomo avesse generato un’antica energia ancestrale, un polo di attrazione avvertito soprattutto dalle anime sensibili. Una scala di pietra anonima conduceva di sotto, aridosso di una maestosa balconata di roccia, lì vi era il Riparo Ermanno de Pompeis, un sito archeologico dove si attestavano le prime tracce della presenza umana in Abruzzo. Quella pietra così levigata era tanto cara ai Santi che agli antenati, e a pensarla nella sua interezza se ne sentiva la voce, soffusa e diffusa tra il rumore dello scorrere dell’acqua sotto di noi. Lungo le pareti rocciose deiprofondi valloni che solcano il massiccio della Majella e del Morrone si aprono ampi ripari sotto roccia dove sono stati rinvenuti numerosi disegni rupestri del tipo a carboncino e in ocra rossa. In queste località è attestata una presenza dell’uomo antichissima che si è protratta fino ai giorni nostri con una continuità sorprendente. A partire dal Paleolitico inferiore(700000 anni fa in Abruzzo), i primi uomini che hanno colonizzato la nostra regione sono periodicamente saliti in queste valli, prima per cacciare gli erbivori che si spostavano in quota alla ricerca dei pascoli estivi, poi per condurvi, come pastori, le mandrie che erano riusciti ad allevare. La continuità della frequentazione ha portato ad uno stratificarsi, neimedesimi luoghi ritenuti sacri, di manifestazioni artistiche a carattere religioso. Anche a San Bartolomeo, come in altre località, l’eremo si sovrappone e sfrutta questi ripari sotto roccia una volta abitati dai cacciatori nomadi dell’antica età della pietra e poi divenuti ricoveri per i pastori transumanti delle età dei metalli. I disegni rupestri di queste zone, che testimonianodel passaggio di tali popolazioni, hanno inoltre quasi sempre un carattere sacro, frutto di cerimonie propiziatorie o sepolcrali, e sono con ogni probabilità variamente attribuibili a uomini dell’età del bronzo e del ferro, mentre le pitture in ocra rossa potrebbero risalire al Neolitico (6500 anni fa). Ancora oggi possiamo notare in quasi tutti gli eremi di queste montagnecome i culti preistorici legati alla roccia ed all’acqua si siano tutt’ora inconsciamente tramandati nei gesti dei fedeli, che praticano lo strofinio rituale per guarire dai dolori e riportano a casa l’acqua di stillicidio che si raccoglie nelle vaschette scavate nel pavimento roccioso del riparo. (Tratto da un cartello informativo dell’ARCHEOCLUB – PESCARA, COOP.MAJAMBIENTE). Le caratteristiche ambientali della zona hanno reso questo riparo particolarmente privilegiato per un uso a fini abitativi da parte delle antiche popolazioni paleolitiche di cacciatori-raccoglitori. La sua posizione soleggiata, in fondo ad un vallone al riparo dalla pioggia e dal vento, la reperibilità di acqua potabile nelle immediate adiacenze, la vicinanza deiterritori di caccia estivi in quota, già frequentati in precedenza dagli uomini del Paleolitico medio e inferiore, insieme all’abbondante disponibilità di selce della stessa roccia che costituisce il riparo, lo rendevano idoneo come ricovero temporaneo per la caccia nomade e luogo ideale per la produzione di strumenti litici. I primi gruppi umani chefrequentavano il riparo, circa 14000 anni fa, appartengono con ogni probabilità alla cultura del Paleolitico superiore abruzzese nota come Bertoniano, localizzata principalmente nell’area del bacino del Fucino (Avezzano-Aq). Queste genti si spostavano nel periodo estivo sulle montagne, seguendo le mandrie di erbivori nelle loro migrazioni stagionali alla ricerca di pascoli. Ilcontenuto faunistico dei depositi stratigrafici conferma un utilizzo del ricovero anche per la macellazione della selvaggina, fra cui segnaliamo in particolare resti di cervo e di capriolo, specie tipiche di un ambiente boschivo con ampie zone aperte al pascolo. Gli oltre 16000 manufatti in pietra non ritoccati, rinvenuti su una superficie estremamente limitata come quelladel riparo, insieme all’enorme numero di schegge e resti di lavorazione talvolta coincidenti con i nuclei originari, fanno comunque pensare ad un utilizzo prevalente del sito come cava per l’estrazione della selce ed officina litica per la prima scheggiatura del materiale. (Tratto da un cartello informativo dell’ARCHEOCLUB – PESCARA, COOP. MAJAMBIENTE).

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