La primavera
anticipava la sua presenza donando all’aria il calore delle sue giornate. Così
in contrasto con gli ambienti innevati si percepiva dal canto degli uccelli e dalle
gemme ingrossate deifaggi: tutto pareva innescarsi sotto la bellezza dei suoi
miracoli, e il solo fatto di essere al sole dava l’illusione di uno dei suoi abbracci
più caldi. La Valle Ruella rimaneva come sempresuggestiva e panoramica, nel
mese di dicembre 2012 scrissi un articolo per La Lucciola, il giornale settimanale
di Marruci, dove trattavo a grosse linee l’importanza storica della valle, testo
cheriporto di seguito in corsivo. Il percorso di Annibale sopra Tornimparte. Nella Valle di Ruella, sopra Tornimparte,
sono presenti i resti di un’antica strada romana che un tempo segnaval’importante collegamento tra la zona del Cicolano e quella dell’Amiternino. La
storia racconta che quando Annibale giunse in Italia con l’obiettivo di
conquistare Roma rimase per lungotempo con le sue truppe accampato nella Valle
dell’Aterno, prima di attraversare le montagne sopra Tornimparte per
raggiungere il territorio del Cicolano: il suo obiettivo era quellodi
stringere alleanza con il popolo dei Marsi nel tentativo di attaccare Roma da
Est. Passò proprio per la Valle di Ruella con tutto il suo esercito e l’unico
elefante rimastogli in vita, e questanotizia è storicizzata da diverse fonti.
Attualmente l’antica strada di Ruella è visibile solo in alcuni punti, perché
circa trenta anni fa venne quasi completamente distrutta a causa dei lavoriper
la realizzazione di una strada cementata che facilitasse l’accesso degli
abitanti di Tornimparte agli altipiani superiori, dove vi erano i loro
possedimenti di alcune case secondarie. Taleoperazione risultò molto invasiva
per il territorio, tanto da distruggere il vecchio lastricato romano che si
trovava in coincidenza con il progetto della strada. La cosa suscitò moltoscandalo, e fortunatamente in molti si schierarono contro questo scempio
riuscendo così a fermare tutto, ma nonostante questo purtroppo gran parte del
patrimonio storico venne perduto.Sono sopravvissuti soltanto alcuni tratti
dell’antica via romana, unica testimonianza storica di un immenso valore
universale che lega il nome di Annibale al nostro territorio. Sara Chiaranzelli.
Ipendii sotto Monte Cava si immacolavano nel bianco della neve, lo sguardo
correva su distese sconfinate e lisce, fino a scendere a valle a trovare il
contrasto con le chiome brune dei faggi, ricchi di gemme e prossime al
risveglio della vita.
Le valli sotto
Bominaco si sezionavano geometricamente grazie alle diverse coltivazioni, ma mano
a mano che giungeva il tramonto i coloritendevano ad omogeneizzarsi nell’ombra, sfumando tutto con la stessa
tonalità. Il versante Nord del Sirentesi vestiva di leggerezza, la neve
addossata ai suoi canali lo schiariva ulteriormente mettendolo ancora più in
relazione con la volta del cielo. Tutta quella meraviglia si vestiva del sacro: come sempre riscontravo che i
Santi sceglievano con cura i luoghi in cuidimorare. Poco fuori il paese un
sentiero conduceva all’Eremo di San Michele, contornato da roverelle e fitti
cespugli di ginepro. Alcuni cinghiali, giunti con il calare della sera,
fuggivano disturbati dalla nostra presenza, eravamo come degli intrusi inquel
luogo di pace, dove qualsiasi intervento umano si accostava talmente bene alla
natura da farne parte. L’eremo era un santuario rupestre collocato in una
grotta, adattata ad accogliere l’uomo, ma nonostante questo mantenuta ancora nella
suaoriginaria struttura. Il piccolo
luogo di culto dipendeva certamente dal vicino complesso monastico di Santa
Maria Assunta. La tradizione narra che nella grotta visse per molti anni, alla
fine del XI secolo, San Tussio, un monaco eremitanativo di Bagno, paese vicino
L’Aquila. Particolarmente suggestivo è l’accesso al luogo di culto poiché nella
penombra dell’ambiente risalta la pietra dorata dell’altare, illuminato
dall’alto da un grosso finestrone naturale. Poco oltre l’altare èposto
l’elemento più interessante del Santuario rupestre: una colonna liscia sulla
quale è poggiata una lastra quadrata che reca un’epigrafe sulla faccia
superiore. Nel testo figura una Domizia, moglie di Domiziano, che compare anche
in un’altraepigrafe rinvenuta nella zona. Numerose vaschette sono presenti
all’interno con lo scopo di raccogliere l’acqua di stillicidio ed altre sono
incavate in corrispondenza dell’ingresso, dove si trovano i resti di alcune
cellette dove secondo la tradizionelocale vivevano gli eremiti che accudivano
il Santuario. Nella ricorrenza dell’8 maggio si celebra la messa nella
parrocchiale di Santa Maria Assunta e poi ci si reca in processione al
Santuario. La statua dell’Angelo viene preceduta dalla banda e da due altistendardi. Dopo una breve funzione celebrata all’interno della grotta la
processione riprende la via del ritorno, salutata dallo “sparo”. Anche in
questo Santuario rupestre i fedeli vedono nelle forme della roccia il passaggio
del Santo, che vi ha lasciatole proprie impronte: in questo caso addirittura
sulla volta, sopra l’ingresso. (Il testo riportato in corsivo è citato dal
libro “Eremi d’Abruzzo – Guida ai luoghi
di culto rupestri” Carsa Edizioni).
La Media Valle
dell’Aterno si impreziosiva di piccoli borghi lungo il corso del fiume,
distanziati tra loro da immense distese di prati. Tra questi il paese di Stiffe
si distingueva per la forra che losovrastava: così contornato di natura
selvaggia si metteva in contrasto con l’ordine rigoroso della pietra che lo
componeva, con i suoi vicoli che in un breve dipanamento stringevano a sétutte
le case. Quelle pietre composte dall’uomo lasciavano scaturire dimensioni
remote, il passato rimaneva sospeso e si poteva fruire anche solo camminando
tra i vicoli stretti delpiccolo paese. Qualcuno era rimasto ad abitarlo, ma
l’unica presenza che incontravamo per strada era quella silenziosa dei gatti.
Le pietre d’Abruzzo erano così serene, assorbivano la lucedel sole e
rilasciavano in quiete quella energia. Un sentiero partiva dalla parte
sommitale del paese e conduceva ai ruderi del castello e ai salti superiori
della cascata di Stiffe. Questo tragittoun tempo era attrezzato con
staccionate di legno e tabelle informative, ma l’incuria degli ultimi anni ne aveva
portato il disfacimento: la natura si era ripreso tutto, ed il percorso sismarriva
spesso nella vegetazione. Il rumore dell’acqua prendeva forza in quell’enorme
cassa di risonanza, mano a mano che il sentiero saliva a mezza costa della
montagna si scorgeva dall’altoil letto del fiume e il corso che faceva. La
finale sommitale raggiungibile a piedi sprigionava un’energia incredibile: l’acqua
riversava tutta la sua potenza, coprendo con il suo vigorequalsiasi altro
suono. Una piccola cavità nascondeva al suo interno un passaggio prezioso
attraverso cui guardare quello spettacolo della natura, mi sentivo davvero
fortunata a poter ammirare tanta bellezza.
Il cielo si
caricava delle scure tonalità del maltempo, rilasciando neve ed altre
precipitazioni a seconda dell’altitudine. Un sentieroanonimo partiva da
Casaline e raggiungeva il rilievo di Colle Marco: i resti dell’antico castello
riportato sulle carte militari siscorgevano di tanto in tanto nella neve,
dando l’intuizione dell’antico perimetro delle sue mura. Il Castello di Cesura,secondo alcuni documenti, attestava la sua origine nel XII secolo e la sua distruzione
al XIV, contribuì alla formazione della cittàdell’Aquila, e vide il suo spopolamento
a favore di quest’ultima. I ruderi di quella antica costruzione rimanevano da
sempre nelsentimento degli abitanti di Casaline, tanto che nonostante il
passare dei secoli continuavano ancora a chiamare quella piccolamontagna col
nome di castégliu. Dall’alto lo
sguardo si accostava ad altri rilievi modesti, aprendosi sui sottostanti prati
di Foce, edaffiancandosi lateralmente a Monte Rua, mentre ulteriori lontananze
erano oscurate dalla foschia delle precipitazioni.Alcuni cavalli poco distanti
si spostavano lentamente in gruppo, non curanti del maltempo: il vento
cominciava a soffiare conviolenza, trasformando quelle piccole cime in trampolini
per la neve spazzata.
Quello che mi
piaceva dei vicoli di Scanno erano i giochi di luce della neve, che, in
contrasto con i toni d’ombra delle vecchie mura, mostrava tutta la sua parte
più innocente. Le vie siincrociavano tra di loro in un fitto canale di
passaggi pedonali, si passava affianco ad antiche chiese e palazzi nobiliari,
volti ad abbellire un già suggestivo centro storico. Tanti archi passavanosui
vicoli e tenevano congiunte abitazioni diverse, guardavo la neve scendere da
sotto di essi, e rimanevo in silenzio ad ammirare quella leggera danza che
cumulava in luce. Tutta la gente delposto era al caldo nelle loro case, solo
di tanto in tanto si vedeva qualcuno passare, ma era così veloce da sembrare un’apparizione.
Eravamo saliti lungo il Vallone del Carapale,agevolati dalla seggiovia che
partiva dal paese. Le piante si caricavano di neve e tutto si sotterrava nel
bianco, persino il piccolo rifugio che prende il nome dal vallone si
distingueva astento così mimetizzato. Le nuvole chiudevano la testa della
Terratta, serrando sempre di più qualsiasi visuale sommitale, mano a mano
scendeva la nebbia impreziosita dai fiocchi di neve,nulla poteva essere più
rassicurante delle piste battute sottostanti.