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Due bellissimi eremi si trovavano nel passaggio naturale che
metteva in comunicazione la conca reatina con la Sabina tiberina,
attraverso
sentieri boscosi a mezza costa protetti dal sole, e un canto
assordante di cicale che pareva andare in risonanza con
l’eco delle loro
simili. Conoscevamo prima la Grotta-Eremo di San Michele, la sua bellezza era
protetta da una grata che
lasciava ammirare da lontano gli affreschi medievali,
lasciandosi comunque animare dal fascino delle convinzioni popolari che
volevano il drago-serpente sconfitto dall’arcangelo e qui omaggiata la sua lode
con l’edificazione del piccolo santuario rupestre. Di
lato una parete verticale
svelava una pietra compatta e sublime,
alla cui base le fondamenta di un romitorio testimoniavano l’antica
presenza
umana. Senza delimitazioni invece era l’Eremo di San Leonardo, la sua bellezza
era fruibile a tutti, purtroppo anche
a coloro che con scritte ne avevano
deturpato le povere mura. Immerso nella lecceta del Fosso di Galantina, si
apriva al viandante con
una serie di pochi gradini e un arco d’ingresso. Resti di
mura definivano l’eremo, lasciando intuire i passati utilizzi, mentre
nel ventre
della grotta un ciborio con volta a vela manteneva ancora la sua funzione
sacrale raccogliendo gli ex-voto dei pellegrini.
Resti di affreschi databili al
1450 di Jacopo da Roccantica ritraevano San Leonardo e Santa Caterina
d’Alessandria, purtroppo
erano andati quasi completamente perduti, e le poche
malte cromatiche rimaste erano state incise dalla stupidità di chi non
arrivava
a comprendere il valore delle cose.