Lungo la Mareneve
i paesaggi neri di antiche lave si componevano in avvallamenti lunari, e più
salivamo verso l’Etna e più lo sguardo scivolava libero verso il mare. Il
profumo dolce delle ginestre si esaltava nel mezzo di quella terra calda, vi erano
fiori gialli e rosa che prendevano risalto assieme a piccoli boschi di betulla bianchi.
Da lì scendevamo nel fresco delle Gole dell’Alcantara, dove fiumi di lava e di
acqua avevano plasmato straordinari decori di basalti colonnari. A Vendicari le
saline dismesse accoglievano il riposo di aironi e fenicotteri, mentre il
profilo smantellato di una vecchia tonnara faceva compagnia ad un’antica torre
sveva. Mi piaceva moltissimo Marzamemi, piccolo paese di pescatori, le cui case
circondavano la piazza principale, animata nel sottofondo da musiche lontane e
della quiete del mare. Quella dimensione così semplice si impreziosiva di
colori bellissimi: la meraviglia era nella purezza di tutto quello che ci
circondava e sapevamo apprezzarlo. Percorrevamo vie che costeggiavano campi di
grano maturi ed avevamo il cuore leggero come un volo di rondini. La strada si
impreziosiva di cactus in fiore dai petali gialli e legnosi simili alla carta
velina, anche le bouganville tingevano in lontananza di fucsia i posti più
remoti, mentre i gelsomini inebriavano del loro profumo ogni loro vicinanza. Il
sole batteva sul magnifico tempio di Selinunte, dove grandiose colonne sostenevano
il cielo votato al culto di Hera. L’isola di Mothia narrava dei Fenici
affidando al vento i resti della loro leggenda. La costa di Marsala estendeva i
suoi scogli con agglomerati di poseidonia modellata dal mare. Dall’alto di
Erice ammiravamo la geometria regolare delle saline di Trapani che sfumavano
dal rosa al bianco e verso sera divenivano specchi di cielo. A starci dentro
mostravano montagne di sale, mulini a vento, canneti e silenzio. Poco oltre San
Vito lo Capo vi era la Riserva dello Zingaro, ne ritrovavo la bellezza dell’acqua
limpida e protetta da meduse, mosse nelvortice lento del movimento della
risacca. Tornava alla mente Scicli sulla gravina e il suono del marranzano
siciliano. Anche i fori di ibisco, di aloe e di iris. L’orto botanico di
Palermo custodiva veri monumenti vegetali, piante antichissime, gigantesche e
preziose. Si materializzava il sogno di attraversare un piccolo bosco di bambù.
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