Campo Imperatore si modulava di infiniti avvallamenti dove il pascolo lento di mucche e cavalli
ne accresceva la quiete di radure sconfinate. Tutto si conteneva tra la mole
maestosa del Gran Sasso e isuoi contrafforti meridionali, che così innalzati bruscamente
aumentavano il senso di protezione di un luogo speciale. Dalle prossimità
dei Ruderi di Sant’Egidio salivamo in direzione del Vadodel Piaverano,
costeggiando lo sfogo di un fantasioso fiume di rena che dall’alto degli
sfasciumi scendeva a valle. Mentre salivamo il candore della roccia si
confondeva a tratti con quello delle nubi, maladdove il panorama si apriva lo
sguardo correva libero fino al mare. La via delle stelle correva sul filo di
cresta del Monte Brancastello, lungo sentieri facili e battuti che ammiravano uno dei
volti più belli diCorno Grande. Sulla piana, alle pendici di Monte San
Gregorio, i Ruderi di Sant’Egidio erano stati da poco oggetto di un’indagine
archeologica svelando una chiesa vescovile a navata unica contransenna presbiteriale
e numerose monete di rame e d’argento. Quell’antico insediamento segnava
un importante crocevia dei nostri antenati che compivano la pastorizia
transumante, i panoramisvelavano ancora il fascino antico dell’essenziale,
dove i secoli passavano gli uni sugli altri mentre le montagne rimanevano
eterne.
domenica 25 settembre 2016
Monte Brancastello dai Ruderi di Sant'Egidio per il Vado del Piaverano
sabato 17 settembre 2016
Anello di Serra Monte Canzoni nel Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise
I boschi e i prati
si spogliavano dei fiori ma trattenevano ancora il verde sulla soglia dell’autunno,
che invece trovavamo ad attenderci sulla cima delle montagne, tra giochi di
nebbia e vento e unosfilacciare continuo di nuvole. Visti dall’alto i panorami
si scoprivano come visioni differenti, con sopra un cielo bianco e pesante che
dava risalto ai colori ancora caldi dell’estate, di quei prati rasi di vellutomessi in risalto dal grigiore del calcare. Tra il Vallone del Ciaccariello e il
Vallone di Capra Morta compivamo l’anello della Serra di Monte Canzoni, una
montagna poco frequentata ma estremamente bella peril suo affaccio panoramico
sulle altre cime del Parco, ed il suo essere accogliente grazie ai suoi facili
sentieri. Sul fondo della valle, lo Stazzo del Campo ci accoglieva con la
gentilezza dei gestori che si trovavanolì a vivere anch’essi le proprie
montagne. Fuori pioveva e noi eravamo dentro avvolti dal calore della stufa, ci
offrivano il vino, i biscotti di Scanno e il caffè, ci accoglievano come amici
lontani, anche questaera la bellezza delle montagne d’Abruzzo.
domenica 4 settembre 2016
Sardegna in moto dal Golfo di Orosei all'Isola di Sant'Antioco e il Massiccio del Gennergentu
La bellezza della
Sardegna era nelle sugherete piegate dal Maestrale, nel granito rosso delle
montagne, nel silenzio dei nuraghe
checontavano i millenni. A Cala Luna
il candore del calcare metteva in risalto l’azzurro del mare, che diveniva
specchio nei meandri dellaGrotta del Bue
Marino. Le concrezioni si aggrumavano in strani speleotemi, come eccentriche mai viste che nessuno mi sapevaspiegare. Mi piaceva la Sardegna e il suo carattere simile a quello d’Abruzzo,
fatto di gente dall’animo forte e gentile. Da Cala Gonone alGolfo di
Orosei, e poi ancora tante altre strade percorse in moto nel massiccio del Gennargentu, fino ad arrivare alla Torre delle Stelle.Scendevamo verso
Sud. La Statale Orientale Sarda passava
per il Parco dei Sette Fratelli, attraversando
un magnifico canyon di granito rosso,tra lame affilate e taglienti ammorbidite
dai lecci. I fichi d’India portavano il carico dei loro frutti, sotto un sole
rovente e il cantoassordante delle cicale. Il Castello di Acquafredda del Conte Ugolino si animava del lamento
delle poiane, mentre dalla torre più alta vedevamouna distesa di campi arati
bruciati dal sole. La lingua di terra sarda che si estendeva verso Sant’Antioco viveva della laguna, di ristagnisvaporati di sale, bianchissimi, che svelavano l’equilibrio di fenicotteri
rosa. Sulla spiaggia riecheggiava il suono della risacca e la nenia diritornelli
di varie sinfonie fischiate al vento. La costa di Cagliari e la montagna sarda
apparivano come velature. Tra la Torre
Canai e laSpiaggia Turri l’acqua
limpida svelava un universo profondo dove nuotare era come volare. Tantissimi
pesci, occhiate, sogliole, scorfani,orate danzavano nella poseidonia verde,
mossa come i capelli della fanciullezza al vento. Sott’acqua assistevamo al
pasto dei pesci cheindisturbati mangiavano i resti di un granchio, mentre
bollicine d’aria partivano dalla sabbia individuando forse mitili o vongole. Entravamotra il silenzio dell’acqua, nel regno dei fluidi. Era la Spiaggia di Coaquaddus. Il Maestrale batteva tra il Faro di Mangiabarche eCalasetta, spingendosi oltre tutta la
costa occidentale dell’Isola di Sant’Antioco.
L’entroterra spoglio e assolato si vestiva soltanto di bassevegetazioni di
lentisco e cespugli selvatici di macchia mediterranea. Cala Sapone oltre al suo spicchio di spiaggia si contornava dellabellezza di scogli neri e lisci, dove i cristalli di sale mostravano il loro
migliore contrasto. Una signora anziana stava seduta sugli scoglirivolta al
mare, cantava una nenia lontana e familiare, che mista al suono delle onde
infrante mi giungeva con estrema dolcezza. Ancheun’altra signora cantava,
affidavano le loro parole al mare, chissà cosa rappresentava per loro questo
mare, le loro parole erano leggere come ilvento e intense come l’oblio ancestrale.
Non trovavamo la Porta d’Oro di Pula
e rimaneva soltanto la leggenda della musca macedda. Ifenicotteri rosa stavano
in equilibrio nelle paludi, sugli specchi d’acqua delle saline, dove il loro
riflesso vibrante si amplificava.
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