Il
Tratturo Magno attraversava i prati sotto Barisciano, impreziositi da immense
distese di mandorli, campi lavorati e piccoli luoghi incolti da tempo remoto.
Tra questi giaceva dimenticata la piccola chiesa di Santa Maria di Forfona, la
cui origine poteva addirittura vantare una datazione del X – XI secolo. Tramite
il libro “Peltuinum – antica città sultratturo” ero venuta a conoscenza di questo antico edificio, caratterizzato
dalla sobria bellezza delle chiese rupestri del Gran Sasso. La maggiore difficoltà
nell’individuarla era costituita dal fatto che la sua presenza non fosse
riportata sulle mappe militari IGM, ma come poteva una struttura del Mille
passare così inosservata fino ai giorni nostri? Siamo riusciti a localizzarlasoltanto grazie alle indicazioni di alcuni abitanti di Barisciano. La piccola
chiesa pareva custodita dai rovi di rosa canina e dagli arbusti selvatici, così
fitti quasi da impedirne l’accesso. Parte dell’arcata frontale era crollata,
lasciando la piccola struttura in balia delle intemperie. Un accenno di
affresco dava nota della sua storia, ma oramai non faceva leggere più nulla
dalle sue immaginise non diversi toni di colore, era tuttavia in grado di
testimoniare che un tempo quel piccolo luogo di culto era degno di venerazione.
Considerata l’assenza di informazioni su internet su questa chiesa rupestre riporto integralmente
di seguito una nota tratta dal paragrafo “Risultati
preliminari della ricognizione archeologica nell’area dell’antica Furfo”,
scritta daMassimiliano Valenti,
tratta del libro sopracitato “Peltuinum – antica città sul tratturo” Carsa
Edizioni, 1996. La chiesa, dedicata a S.
Maria col toponimo “di Forfona”, è menzionata diverse volte nei documenti
medievali ed attesta la presenza non solo dell’edificio ecclesiale, ma di un
piccolo insediamento (raccolto presso di essa) sul sito dell’antica Furfo; le fonti
ad ogni casotacciono riguardo all’erezione della chiesa o alla sua tipologia
architettonica. La struttura oggi superstite è solo una parte della chiesa
originaria (che doveva essere alquanto più ampia) rimaneggiata in fase seriore.
Si sa che alla metà del XVIII secolo era accanto ad essa una torre campanaria
nella quale erano reimpiegate numerose iscrizioni: il campanile era ancora
visibileall’inizio di questo secolo e probabilmente crollò in coincidenza del
sisma del 1915. Analogamente, da CIL, IX, 3535, è testimoniata ancora nella
seconda metà dell’800 l’esistenza di un pavimento oggi quasi completamente
perduto, del quale si conserva solo una labile traccia presso la parete
occidentale (l’attuale plano del calpestio è su terra ed è ribassato rispettoalla pavimentazione precedente). La costruzione oggi visibile è a pianta
rettangolare, orientata Ovest-Est con apertura ad Ovest, coperta con volta a
sesto rialzato. La tecnica muraria risente della duplice fase edilizia. Infatti
nei muri originari (Nord, Sud, Est) il parametro esterno è realizzato con la
tecnica a blocchetti squadrati di calcare, mentre l’interno è lasciato con
pietramegrezzo ai fini di una migliore aderenza dell’intonaco, del quale si
conservano scarse tracce dipinte sulla parete orientale presso la monofora. Il muro
occidentale è realizzato con cornici informi di pietrame, scapoli lapidei
antichi spezzati e frammenti di laterizi: questa facciata è inquadrata da
piedritti in blocchi squadrati regolari di calcare, sormontati entrambi da una
mensolamodanata (con cornice aggettante) su cui poggia l’imposta di un arco a
sesto rialzato con conci radiali. Al di sopra dell’arco sono ancora visibili
lacerti di paramento a blocchetti della struttura originaria; l’assenza della
cortina in entrambi gli angoli (Sud-Ovest) fa pensare, più che a una rottura,
all’innesto di due alae che inquadravano due strette navate laterali. Pertanto lastruttura dovrebbe identificarsi come abside di forma quadrangolare a brevi
alae rientranti, sottolineate dai piedritti dell’arcata, che a loro volta
darebbero la misura dell’ampiezza della navata centrale. Il corpo di fabbrica
della chiesa dovrebbe quindi svilupparsi verso Ovest, per quanto era consentito
il forte dislivello. Sulla fronte l’interro ha nascosto il piano di spiccatoantico, mentre è visibile la soglia dell’ingresso, formato da blocchi
rettangolari di calcare bianco. Sulla sinistra dell’ingresso è una lastra di
calcare bianco con foro circolare bordato da due scanalature concentriche
(tombino?), su cui sono incisi vari schemi di giochi, tra cui le “scriptae
duodecim”, che attestano come il materiale sia di età romana; successivamente
furiutilizzato nella seconda fase in virtù del foro passante che permette l’accesso
manuale ad un’acquasantiera posta all’interno, a sua volta scalpellata in
blocco di reimpiego. L’originale piano di calpestio interno è scomparso, come
si è detto, fatta eccezione per alcune scaglie di calcare su terriccio e
breccia compattati, che si attaccano alla base del muroorientale; sembra qui
di poter ravvisare la preparazione del pavimento vero e proprio, comunque
individuabile anche in base ad una risega di cui sussistono tracce nell’angolo
Sud-occidentale. In alto nella parete orientale si apre una stretta ed alta
monofora a sesto acuto, strombata sulle due facce, con quattro eleganti piccoli
capitelli a volute lisce terminanti adapici sferoidali; le colonnine su cui
poggiavano sono state trafugate in età moderna. All’interno, al di sotto della
monofora, è una nicchia coronata con una cornice convessa, con una treccia
stilizzata, che poggia su una lunga mensola modanata; entrambi questi elementi
sembrano essere databili a partire dall’epoca rinascimentale. A lato della
monofora è un’epigrafemedievale sicuramente reimpiegata in epoca seriore
rispetto alla sua datazione (1248), della quale si danno la trascrizione e la traduzione
(Dott.Sfligiotti): ANNIS MILLENIS DENIS QUAT(ER) OCTO DUCENTIS… TEMPORE
P(RE)POSITI GENTILI OP(US) FUIT ACTUM INDICTIO(N)E VI (Nel secondo millennio
dell’anno 1248 quando era preposto (dalla Chiesa) Gentile, quest’opera fucompiuta nella indizione sesta). I caratteri paleografici riportano all’alfabeto
gotico del repertorio librario; la menzione di un preposto indica l’appartenenza
al clero regolare e ad una chiesa madre o abbazia da cui veniva inviato a
presiedere una comunità religiosa. Considerando la posizione dell’epigrafe e le
sfavorevoli condizioni di visibilità, appare chiaro come essa –pur menzionando
lavori (o atti ufficiali) del 1248 – non possa riferirsi alla struttura oggi
superstite. In base alle considerazioni ed agli elementi finora esposti la costruzione
può essere databile fra XII e XIII secolo, con l’utilizzo di materiale di
reimpiego eterogeneo, databili al X secolo, evidentemente pertinenti alla prima
fase della chiesa. Massimiliano Valenti.
(Nota trattadal paragrafo “Risultati
preliminari della ricognizione archeologica nell’area dell’antica Furfo”
scritto da Ermanno Gizzi, Marcello Spanu, Massimiliano Valenti, tratto dal
libro “Peltuinum – antica città sul tratturo” Comunità Montana Campo Imperatore
– Piana di Navelli, CARSA Edizioni, 1996).
giovedì 5 dicembre 2013
La Chiesa dimenticata di Santa Maria di Forfona nei pressi di Barisciano
Etichette:
barisciano,
forfona,
santa maria di forfona,
tratturo magno
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento