Su un pianoro
roccioso sul versante Ovest di Monte Orsello giacevano i resti dell’antico
villaggio medievale di Sant’Eramo,menzionato in una bolla papale del 1215. Le
pietre si cumulavano lungo i perimetri delle poche case sparse, definendo quello
che untempo era un piccolo paese abitato. Di tanto in tanto riemergevano le
tracce delle Vie Amiternine, antiche
mulattiereormai abbandonate, ma che secoli addietro facevano da congiunzione a
due delle più importanti vie di comunicazione delcentro Italia: la Via Salaria
e la Via Valeria. Attraverso di esse la Conca Aquilana e la Marsica trovavano
il possibile collegamentoper gli scambi commerciali. Il villaggio di Sant’Eramo
si affacciava sul profondo vallone di Sant’Onofrio, questo luogo prendeva ilnome del Santo che vi aveva dimorato, al riparo di una spelonca ricavata nella sua
parete rocciosa. Pare che questa grotta sia statascavata a mano da un eremita circa
nel XIII secolo, e che qui vi abbia vissuto per tutta la vita, probabilmente fino
alla morte. Lagrotta si apriva come una balconata esposta a Sud, e raccoglieva
al suo interno tutto il calore del sole. Il bosco sottostantemitigava
qualsiasi movimento del vento, lasciando colmare quel luogo soltanto di pace e
beatitudine.
lunedì 16 dicembre 2013
domenica 15 dicembre 2013
L'Eremo di San Benedetto sul Monte Velino
Una comoda
carrareccia raggiungeva da Forme il suggestivo imbocco della Valle Majelama, da
lì proseguivamo verso Ovest in direzione dei contrafforti superiori della valle
di Lama. Le nuvolecaricavano su di loro tutte le tonalità del grigio, come a
voler estendere anche al cielo la materia della roccia. Ogni cosa appariva come
un dialogo di elementi, e tutto sembrava unificarsinella sintesi, visione che da sempre era cara agli eremiti. L’eremo di
San Benedetto era l’unico presente sul massiccio di Monte Velino, vantava la
sua altezza a 1733 metri di quota e la suaesposizione sulla valle marsicana,
regalando scorci unici di grandissima bellezza. Una piccola campanella ancorata
alla roccia ricordava il culto dei fedeli, lasciarla suonare dava voce allapietra che rispondeva nel suo eco la parola del santo. Una leggera nevicata
sublimava maggiormente la bellezza percepita, nel silenzio tra la terra e il
cielo la neve pareva fare da congiunzionesilenziosa. La grotta, larga
più di venti metri e di profondità variabile, è divisa in due parti comunicanti
tramite una breve galleria. Dalla zona d’ingresso, molto ampia ed alta, si
passa aduna più piccola e bassa illuminata da un’ampia finestra. In quest’ultimo
ambiente, pur mancando i caratteristici segni della presenza eremitica, sono
però rilevabili quelli del culto da partedelle popolazioni locali. Sul lato
destro della finestra, in alto, pende una campanella, e quasi di fronte ad
essa, sulla parete della grotta, in una specie di abside naturale, sono
incastonatepiccole immagini sacre. Nel secolo scorso era ancora viva la
devozione dei locali verso il Beato Benedetto Marsicano. Secondo la tradizione,
alla sua morte furono molti i miracoli chetestimoniavano la sua santità che il
popolo trasportò a valle il corpo collocandolo nella chiesa di San Pietro in
Albe. (Il testo riportato in corsivo è citato
dal libro “Eremi d’Abruzzo – Guida ai
luoghi di culto rupestri”, CARSA Edizioni, 2007).
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giovedì 5 dicembre 2013
I Grottoni di Calascio e la scoperta dell'Uomo di Neanderthal in Abruzzo
Nel 1978, grazie all’intuizione dell’archeologo
aquilano Fulvio Giustizia, vennero
alla luce in Abruzzo le prime testimonianze di vita risalenti al Paleolitico
Medio, periodo che ha visto definire lecaratteristiche umane negli esseri
primitivi: i famosi Uomini di Neanderthal. La sorprendente scoperta avvenne nei
pressi di una località definita “I Grottoni”, situata tra Calascio ed Ofena, in
unagrande caverna posta a circa 670 metri di quota. L’archeologo Fulvio
Giustizia, originario di Calascio, avendo bene a mente la morfologia del
proprio territorio, aveva intuito che quell’antroavesse tutte le
caratteristiche per intraprendere un’indagine archeologica. Tale ricerca si
mostrò fruttuosa fin da subito: con appena 15-20 centimetri di scavo vennero
alla luce selcipreistoriche e frammenti di ossa fossilizzate. I reperti
vennero analizzati e confermarono la scoperta del primo deposito in grotta del Paleolitico Medio in Abruzzo.
Iniziarono le campagnedi scavo che portarono alla luce circa 60mila frammenti
di ossa animali, fra cui quelle di camoscio, di cervo, di uro, di leopardo, di
marmotta, di cavallo selvatico e di iena delle caverne. Ma il 15giugno del
1979 avvenne il rinvenimento più importante di tutti: la testa di un femore di
un giovane Uomo di Neanderthal. Fu così
rinvenuto l’uomo più antico di Abruzzo, di circa 80mila anni dietà. In
questa pagina web è presente l’articolo scritto da Fulvio Giustizia: “Come ho incontrato un Uomo di Neanderthal
in Abruzzo”. Quella grande spelonca si apriva anonima sottoColle Duro,
entravamo in una zona d’ombra che annullava le distanze con migliaia e migliaia
di anni. Lì avevano dimorato i nostri antenati, vi si erano riparati durante le
stagioni di caccia, evi tenevano animati i focolari. Alcune gocce d’acqua stillavano
ripetutamente dalla roccia in un catino naturale, quel suono si amplificava in
quella grande cassa di risonanza, dando voce alla terra e alle nostre
suggestioni.
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La Chiesa dimenticata di Santa Maria di Forfona nei pressi di Barisciano
Il
Tratturo Magno attraversava i prati sotto Barisciano, impreziositi da immense
distese di mandorli, campi lavorati e piccoli luoghi incolti da tempo remoto.
Tra questi giaceva dimenticata la piccola chiesa di Santa Maria di Forfona, la
cui origine poteva addirittura vantare una datazione del X – XI secolo. Tramite
il libro “Peltuinum – antica città sultratturo” ero venuta a conoscenza di questo antico edificio, caratterizzato
dalla sobria bellezza delle chiese rupestri del Gran Sasso. La maggiore difficoltà
nell’individuarla era costituita dal fatto che la sua presenza non fosse
riportata sulle mappe militari IGM, ma come poteva una struttura del Mille
passare così inosservata fino ai giorni nostri? Siamo riusciti a localizzarlasoltanto grazie alle indicazioni di alcuni abitanti di Barisciano. La piccola
chiesa pareva custodita dai rovi di rosa canina e dagli arbusti selvatici, così
fitti quasi da impedirne l’accesso. Parte dell’arcata frontale era crollata,
lasciando la piccola struttura in balia delle intemperie. Un accenno di
affresco dava nota della sua storia, ma oramai non faceva leggere più nulla
dalle sue immaginise non diversi toni di colore, era tuttavia in grado di
testimoniare che un tempo quel piccolo luogo di culto era degno di venerazione.
Considerata l’assenza di informazioni su internet su questa chiesa rupestre riporto integralmente
di seguito una nota tratta dal paragrafo “Risultati
preliminari della ricognizione archeologica nell’area dell’antica Furfo”,
scritta daMassimiliano Valenti,
tratta del libro sopracitato “Peltuinum – antica città sul tratturo” Carsa
Edizioni, 1996. La chiesa, dedicata a S.
Maria col toponimo “di Forfona”, è menzionata diverse volte nei documenti
medievali ed attesta la presenza non solo dell’edificio ecclesiale, ma di un
piccolo insediamento (raccolto presso di essa) sul sito dell’antica Furfo; le fonti
ad ogni casotacciono riguardo all’erezione della chiesa o alla sua tipologia
architettonica. La struttura oggi superstite è solo una parte della chiesa
originaria (che doveva essere alquanto più ampia) rimaneggiata in fase seriore.
Si sa che alla metà del XVIII secolo era accanto ad essa una torre campanaria
nella quale erano reimpiegate numerose iscrizioni: il campanile era ancora
visibileall’inizio di questo secolo e probabilmente crollò in coincidenza del
sisma del 1915. Analogamente, da CIL, IX, 3535, è testimoniata ancora nella
seconda metà dell’800 l’esistenza di un pavimento oggi quasi completamente
perduto, del quale si conserva solo una labile traccia presso la parete
occidentale (l’attuale plano del calpestio è su terra ed è ribassato rispettoalla pavimentazione precedente). La costruzione oggi visibile è a pianta
rettangolare, orientata Ovest-Est con apertura ad Ovest, coperta con volta a
sesto rialzato. La tecnica muraria risente della duplice fase edilizia. Infatti
nei muri originari (Nord, Sud, Est) il parametro esterno è realizzato con la
tecnica a blocchetti squadrati di calcare, mentre l’interno è lasciato con
pietramegrezzo ai fini di una migliore aderenza dell’intonaco, del quale si
conservano scarse tracce dipinte sulla parete orientale presso la monofora. Il muro
occidentale è realizzato con cornici informi di pietrame, scapoli lapidei
antichi spezzati e frammenti di laterizi: questa facciata è inquadrata da
piedritti in blocchi squadrati regolari di calcare, sormontati entrambi da una
mensolamodanata (con cornice aggettante) su cui poggia l’imposta di un arco a
sesto rialzato con conci radiali. Al di sopra dell’arco sono ancora visibili
lacerti di paramento a blocchetti della struttura originaria; l’assenza della
cortina in entrambi gli angoli (Sud-Ovest) fa pensare, più che a una rottura,
all’innesto di due alae che inquadravano due strette navate laterali. Pertanto lastruttura dovrebbe identificarsi come abside di forma quadrangolare a brevi
alae rientranti, sottolineate dai piedritti dell’arcata, che a loro volta
darebbero la misura dell’ampiezza della navata centrale. Il corpo di fabbrica
della chiesa dovrebbe quindi svilupparsi verso Ovest, per quanto era consentito
il forte dislivello. Sulla fronte l’interro ha nascosto il piano di spiccatoantico, mentre è visibile la soglia dell’ingresso, formato da blocchi
rettangolari di calcare bianco. Sulla sinistra dell’ingresso è una lastra di
calcare bianco con foro circolare bordato da due scanalature concentriche
(tombino?), su cui sono incisi vari schemi di giochi, tra cui le “scriptae
duodecim”, che attestano come il materiale sia di età romana; successivamente
furiutilizzato nella seconda fase in virtù del foro passante che permette l’accesso
manuale ad un’acquasantiera posta all’interno, a sua volta scalpellata in
blocco di reimpiego. L’originale piano di calpestio interno è scomparso, come
si è detto, fatta eccezione per alcune scaglie di calcare su terriccio e
breccia compattati, che si attaccano alla base del muroorientale; sembra qui
di poter ravvisare la preparazione del pavimento vero e proprio, comunque
individuabile anche in base ad una risega di cui sussistono tracce nell’angolo
Sud-occidentale. In alto nella parete orientale si apre una stretta ed alta
monofora a sesto acuto, strombata sulle due facce, con quattro eleganti piccoli
capitelli a volute lisce terminanti adapici sferoidali; le colonnine su cui
poggiavano sono state trafugate in età moderna. All’interno, al di sotto della
monofora, è una nicchia coronata con una cornice convessa, con una treccia
stilizzata, che poggia su una lunga mensola modanata; entrambi questi elementi
sembrano essere databili a partire dall’epoca rinascimentale. A lato della
monofora è un’epigrafemedievale sicuramente reimpiegata in epoca seriore
rispetto alla sua datazione (1248), della quale si danno la trascrizione e la traduzione
(Dott.Sfligiotti): ANNIS MILLENIS DENIS QUAT(ER) OCTO DUCENTIS… TEMPORE
P(RE)POSITI GENTILI OP(US) FUIT ACTUM INDICTIO(N)E VI (Nel secondo millennio
dell’anno 1248 quando era preposto (dalla Chiesa) Gentile, quest’opera fucompiuta nella indizione sesta). I caratteri paleografici riportano all’alfabeto
gotico del repertorio librario; la menzione di un preposto indica l’appartenenza
al clero regolare e ad una chiesa madre o abbazia da cui veniva inviato a
presiedere una comunità religiosa. Considerando la posizione dell’epigrafe e le
sfavorevoli condizioni di visibilità, appare chiaro come essa –pur menzionando
lavori (o atti ufficiali) del 1248 – non possa riferirsi alla struttura oggi
superstite. In base alle considerazioni ed agli elementi finora esposti la costruzione
può essere databile fra XII e XIII secolo, con l’utilizzo di materiale di
reimpiego eterogeneo, databili al X secolo, evidentemente pertinenti alla prima
fase della chiesa. Massimiliano Valenti.
(Nota trattadal paragrafo “Risultati
preliminari della ricognizione archeologica nell’area dell’antica Furfo”
scritto da Ermanno Gizzi, Marcello Spanu, Massimiliano Valenti, tratto dal
libro “Peltuinum – antica città sul tratturo” Comunità Montana Campo Imperatore
– Piana di Navelli, CARSA Edizioni, 1996).
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