giovedì 18 novembre 2010

Convento di Sant'Angelo d'Ocre e Santo Spirito da Monticchio e la Fossa Raganesca

Il cielo di oggi lasciava decadere ogni intenzione, così nuvoloso e fitto, mozzava la cima delle montagne, concedendoci accesso solo nelle altitudini più basse. Ma la cosa non aveva molta importanza, in fondo quello che contava non era dove andare, ma andare e basta. Eravamo nei pressi di Monticchio, così propongo di andare a visitare le due enormi doline che si trovano lì vicino, la Fossa diMonticchio e la Fossa Raganesca, magari allungando il passo anche per il Convento di Sant’Angelo d’Ocre e per quello di Santo Spirito, luoghi di beatitudine e di enorme bellezza. Il percorso costeggiava la montagna, attraversando campi di mandorle e cespugli erbosi, segnato dal passo dei fedeli che dal paese di Monticchio raggiungevano in pellegrinaggio il Convento diSant’Angelo d’Ocre. Al convento di Sant’Angelo d’Ocre è legata buona parte della storia della vita religiosa d’Ocre. Edificato nel 1481 dai francescani, al posto di un preesistente piccolo monastero benedettino femminile, che la tradizione vuole fondato nel 1236-42 da Sibilia moglie di Bernardo d’Ocre, sorge su un’imponente sperone di roccia alto circa 35 metri. Nel 1593, ilconvento passò ai Minori Riformati, poi nel 1866, a seguito della soppressione delle comunità religiose, al comune d’Ocre e nuovamente ai frati nel 1887. Non ha subito modifiche tali da alterarne l’originaria struttura architettonica del 1481. Si compone di un chiostro quadrato e porticato ai lati del quale si affiancano i vari ambienti conventuali, come la chiesa e ilrefettorio. Nelle lunette del chiostro, affrescate nel 1661, sono raffigurate scene della vita di S. Antonio da Padova e gli stemmi delle famiglie ocresi committenti delle pitture. Tra le arcate sono dipinti i volti di santi e beati dell’Ordine francescano maschile e femminile. L’interno della chiesa, che ha subito vari interventi nel corso dei secoli, specialmente nel 1791, presenta quadri ed altaridel XVII e XVIII secolo frutto della committenza ocrese. Il piccolo coro e la porta d’ingresso sono quelli costruiti dai frati al momento dell’edificazione del convento. Semplice, ma elegante, è il refettorio del 1748 sovrastato dall’Ultima Cena del secondo decennio del XVI secolo. (tratto da “Un itinerario culturale nella Media Valle dell’Aterno” di Umberto Degano). Proseguiamo oltre,continuando a costeggiare il Cammino di San Cesidio da Fossa. Nel primo pomeriggio ci siamo ritrovate lì, immerse in quel silenzio. Il cielo provava a trattenere a stento i suoi grigiori, rischiarando l’aria di freddo e di desolazione. Noi eravamo lì, immerse in una dimensione surreale, fatta di nostalgia di anni andati, ricordi di spensieratezza e gioventù. Pareva di ascoltare delle voci,come se vicino a noi ci fosse qualcuno, ma ci sbagliavamo, l’unica cosa che eravamo in grado di udire era lo stillare di una goccia che rimbombava in quella grande cassa di risonanza, vuota come erano vuote quelle case. Non un passo, ma silenzio, silenzio, silenzio, che a volte cresceva e prendeva corpo in una sorda preghiera verso Dio. Quell’enorme circo glaciale soprale nostre teste ci guardava impassibile, sentivamo di essere sotto un grande equilibrio precario, e per questo non stavamo tranquille; in punta di piedi siamo andate oltre, proprio come fanno i gatti. Siamo rimaste sulla soglia, ad osservare ad occhi chiusi tutto quello che era. Ancora ne tengo memoria di quando andavo lì, nelle sere d’estate, a dipingere con i miei amici tra ivicoli di quel meraviglioso paese, rischiarato dalle risate e dalla luce dei lampioni. Troppi ricordi per una volta sola. Troppa nostalgia di tutto quello che non c’è più. Ma dove finiscono i ricordi? Possibile che si dispongano solo nella testa e nel cuore e che non ci sia in realtà una dodicesima dimensione? Non so se sarebbe meglio o peggio pensare a questo, tuttavia adesso mifarebbe stare bene. Le piante di mandorlo trattenevano sui rami i loro frutti non colti, si mettevano a contrasto con il cielo, alzando così la voce del loro tormento. Un frutto non colto è quanto di più triste possa esserci. Ogni cosa pareva inutile, i pensieri tornavano tutti verso di Lei, che lentamente fagocitava tutto, inglobando nella vegetazione tutto quello che era stato. Madre Natura è la piùsevera di tutte, come si concede così si riprende tutto. Andiamo oltre, riprendendo il nostro percorso. Il monastero di Santo Spirito d’Ocre costituisce il primo insediamento cistercense nella valle aquilana. Fondato nel 1222 da Placido da Roio, su un terreno donatogli dal Conte Berardo d’Ocre, feudatario di Ocre, entrò ufficialmente nell’Ordine cistercense alla morte delfondatore, nel 1248 e dipese da quello di Santa Maria di Casanova, vicino Penne. Passato in commenda nel 1330 (tra i suoi commendatari ci furono i cardinali Maffeo e Francesco Barberini), nel 1652 fu incluso nell’elenco dei piccoli monasteri soppressi dal Papa Innocenzo X. Il monastero occupa un’area pressoché rettangolare (circa 48 m per 64 m) e si compone di uncortile quadrangolare, in origine chiostro, lungo i cui lati, secondo le norme dispositive cistercensi, sono situati la chiesa, il refettorio, il dormitorio e la Sala capitolare. Le mura perimetrali alte e spesse lo isolano nettamente dal territorio circostante. La facciata principale ha solo cinque aperture: l’ingresso carraio con arco ogivale alla maniera borgognana, l’ingresso pedonale etre eleganti bifore, una delle quali dotata di spia piombatoio. Nell’aula chiesastica, con una volta ogivale non terminata, sono presenti affreschi databili al 1280 e, nel presbiterio, resti di pitture della fine del XVI secolo attribuite a Paolo Mausonio. Nella attigua cappella-sagrestia, con ingresso ad arco ogivale, vi sono affreschi tardo trecenteschi raffiguranti scene della vita diBeato Placido e i resti di un affresco databile al 1263-69. (tratto da “Un itinerario culturale nella Media Valle dell’Aterno” di Umberto Degano). Attualmente il Monastero di Santo Spirito d’Ocre è adibito ad albergo, è curato e gestito davvero bene (metto il link del suo sito web per maggiori informazioni). Il cielo sopra di noi era sempre più cupo, scuriva le sue tonalità di grigiofino a portarsi alla rottura dei suoi ultimi equilibri liminari. La pioggia scendeva su di noi in maniera discontinua, era la perfetta conclusione di quello scenario tanto malinconico quanto bellissimo. La Fossa di Monticchio e la Fossa Raganesca scavavano con le loro linee delle enormi voragini carsiche, mentre tutto intorno a noi si colorava del tipico blu delle fredde sere autunnali.

2 commenti:

  1. Bella anche questa descrizione dell'itinerario, un poco malinconica,è la stagione, a giorni arriverà la neve da voi, allora di nuovo lanciate in escursioni favolose.

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  2. non vedo l'ora di camminarci sopra e di sciare... sapessi quanto ho desiderio della neve!!
    grazie per tutte le belle cose che mi scrivi di volta in volta. un caro saluto :-)

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