Un’antica mulattiera scendeva da Castelvecchio Calvisio in
direzione dei numerosi campi coltivati della Valle di Vusci, intercettando sulla
strada la suggestiva Madonna della Neve. La notevole fattura della chiesa
dava sfoggio di importanza nonostante l’incuria del tempo
che l’aveva resa allo
stato di rudere. Fortemente incassata nel pendio, a ridosso di un tornante, avevamo
modo di ammirarla sia dall’alto,
con il campanile a vela alla nostra portata,
che dal basso dell’ingresso. Purtroppo qualcuno l’aveva privata delle
pietre lavorate

più accessibili: erano state divelte le cornici del portale e
delle finestre, rimanevano soltanto i decori del frontone d’ingresso e la

finestra sommitale. L’interno dava dimora a rovi ed arbusti, ancora si ergevano
i tre grandi archi del tetto, e quel poco che rimaneva

degli altari era evidenziato
dai resti degli affreschi. Non si leggevano più le immagini sacre, era visibile
soltanto un essenziale decoro

vegetale. Una datazione lasciava risalire la
chiesa al 1650 – D. F. DE F. P. S. D. ANNO DMI IUBILEI – ma la storia si era
perduta nel

tempo e rimaneva soltanto in qualche memoria tramandata. (Per
approfondimenti
“La Montagna e il Sacro –
riti e paesaggi
religiosi in Abruzzo” di Edoardo Micati, Carsa Edizioni,
2018). Riprendevamo il nostro percorso in direzione dei campi

sottostanti, tra
la bellezza degli uliveti e un’illusoria primavera. Un grande casolare isolato
catturava la nostra attenzione, un

tempo quei luoghi avevano vissuto più di
importanza, di lavoro e di frequentazione. Raggiungevamo Carapelle Calvisio

immettendoci direttamente nei suoi vicoli, finalmente erano attivi i lavori
della ricostruzione che ci lasciavano sperare di poter

ammirare presto un
bellissimo borgo. Tutta la montagna intorno era un dedalo di sentieri, seguivamo
quello per Villa San Martino

e la Chiesa di San Cipriano, alcune delle testimonianze
più antiche della storia di
Carapelle.