Il fiore della vita a San Liberatore a Majella e le tombe rupestri di Serramonacesca
L’Abbazia di San Liberatore a Majella sorgeva su un luogo
sacro, erano molti gli indizi che lo lasciavano supporre. In quell’antica terra
monasteriale vi era il culto delle acque, la suggestione del contatto diretto
tra uomo e natura, antiche testimonianze velate dalla storia che
giungevano
solo in parte fino a noi, ma che nonostante questo non perdevano il fascino
intrinseco del loro valore. Oltre al rigore elegante
della pietra lavorata
della Majella vi era l’essenza della spiritualità. Su di una delle pareti
esterne trovavo l’incisione di un fiore della vita, non
sapevo che lì ce ne
fosse uno, la sorpresa mi lasciava incantata, come a ricevere un dono
inaspettato, bellissimo auspicio nel primo giorno
dell’anno. Un sentiero
scendeva fino al fiume per poi attraversarlo e risalirlo: poco distante vi
erano le famose tombe rupestri ricavate nella
parete rocciosa alla destra
orografica del Fiume Alento. Gli storici supponevano si trattasse di un luogo
di sepoltura di un piccolo gruppo
eremitico stabilitosi lì intorno all’XIII-IX
secolo. Un cartello informativo ne descriveva la struttura: "composto da una parete lunga
circa venti metri in cui sono collocate
tre tombe scavate nella roccia, una piccola nicchia ed una cappellina, le tombe
sono del tipo ad
arcosolio, utilizzate nelle catacombe cristiane soprattutto
dai ceti nobili. Questo genere di sepoltura può ritenersi non successivo al X
secolo. Proseguendo lungo la parete e attraversando una piccola cappella che
racchiude una vasca con funzione di acquasantiera, tre
gradini portano a un
podio, su cui doveva poggiare una statua, sulla parte retrostante del podio
sono visibili resti di affreschi illeggibili a
causa dell’umidità". (Testo tratto
da un cartello informativo del luogo a cura del Parco Nazionale della Majella).
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