Le Cascate della Prata da Umìto
Il sentiero che
partiva da Umìto giaceva nel freddo delle zona d’ombra, quella gola profonda
bloccava qualsiasi spostamento d’aria, rendendola immobile, così come erano
immobili le cose
toccate dal gelo. La neve rivestiva alberi e sottosuolo,
velava di bianco ogni pianta, ogni pietra, e bloccava tutto nella visione
perenne dell’inverno. La zona d’ombra schiarita dalla neve
assumeva le tenui
tonalità della carta da zucchero, di un azzurro lontano e nostalgico: la
visione passata della magia che si coglie prima dell’alba o dopo il tramonto,
quando tutto sta per rivelarsi
oppure per perdersi. Soltanto l’acqua che
correva lungo il fosso tradiva quella situazione immobile, il suo fluire ci
accompagnava distendendo le nostre percezioni, conferendo al bosco una delle
poche voci che aveva a disposizione in questa stagione. Salivamo in direzione
del fosso del Rio Secco, alla ricerca del sentiero per raggiungere la finale
delle Cascate della Prata, mentre alla nostra
sinistra, il liscio letto di arenaria
veniva lambito dall’acqua che scendeva. Risalito il sentiero ci trovavamo al
cospetto della finale: una maestosa e imponente cascata ci sovrastava,
lasciandosi
sorprendere a mostrare l’anima dei suoi elementi. Il ghiaccio brillava come
fosse una materia preziosa, ed effettivamente lo era nella sua effimera
esistenza: nulla poteva
essere più inestimabile di quegli istanti. Cascate
della Prata quota 863 mslm.
Formata dal Rio Prata, o Rio Secco, appare come una delle più belle cascate dei
Monti della Laga, anche conla portata minima sprigiona il suo magico fascino.
Sia lungo il sentiero che viene dalla strada brecciata di fondo valle, sia
lungo quello che viene da Umito fino alla base della cascata, ci sono
una serie
di piccole piazzole dove fino agli anni 50 gli abitanti di Umito bruciavano
legna per ricavarne carbone facile da trasportare; Il paleontologo Guglielmo Allevi
nel suo libro “Fra
le Rupi del Fiobbo” (1894) parla di un primitivo
insediamento umano sul crinale di fronte alle cascate denominato “Ara della
Croce”, e chiama i carbonai “i neri sacerdoti del fuoco”. I reperti
che furono
trovati nell'insediamento furono portati dal paleontologo ad Offida, ma oggi è
possibile vederli al Museo Archeologico Nazionale Pigorini di Roma, dove sono
custoditi. Il
sentiero percorso era anticamente usato per raggiungere l'alta
montagna del comune di Montacuto (uno dei cinque comuni in cui fino al 1860 era
divisa Acquasanta). I pascoli sopra la
cascata sono ancora oggi usati durante
il periodo estivo per le greggi. (Notizie tratte da un cartello informativo
del luogo).
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