La Valle dell'Orfento e l'Eremo di Sant'Onofrio
Il colore della pietra della Majella tingeva i suoi paesi di un amore antico, mentre il calore del sole lasciava schiudere maggiormente il profumo delle rose addossate ai muri. Decontra rimaneva accostata all’anima proprio come fanno i ricordi di una vita, come
se quello scorcio di Abruzzo si fosse in qualche modo universalizzato, affiorando nel cuore con sentimenti di appartenenza. Un piccolo sentiero partiva dal paese e si insinuava nella maestosa Valle dell’Orfento, scoprendo una gola immensa
ammorbidita dalla vegetazione. Il rumore del fiume che saliva dal basso portava in dono il movimento alla montagna, così possente e immobile, così maestosa e materna, ancora impreziosita dagli scivoli di neve. Accoglievamo giugno tra il profumo intenso delle
ginestre, finalmente sentivamo l’arrivo dell’estate, con la terra fecondata dalla primavera e ormai disposta soltanto ad incubare il seme, prima di dare origine ai suoi frutti. L’Eremo di Sant’Onofrio si distingueva anonimo addossato alla parete
rocciosa, confuso dall’abbondante vegetazione, ormai ridotto ad un muro ed alla curvatura di un’arcata. “È memorando il circondario di Caramanico per i diversi eremitaggi che i monaci della Majella vi avevano qua e là nelle gole dei monti, come
quello di Sant’Onofrio nel vallone di cui ivi è tutt’ora qualche vestigia” (Saggese). Non conosciamo la data di origine di questo eremo. Non risulta menzionato dai biografi di Celestino V e non è chiaramente nominato fra gli eremi da lui ristrutturati al suo
arrivo sulla Majella. Poiché non figura neppure nelle famose testimonianze rese durante il suo processo di canonizzazione, è logico supporre la sua origine, o una sua ricostruzione più recente. In questo eremo venivano a volte sepolti coloro che
morivano in montagna, pastori e boscaioli periti in seguito ad incidenti. I terreni circostanti furono coltivati fino ai primi del Novecento e famiglie di contadini passavano la stagione estiva fra i ruderi del convento. Fino a quell’epoca il portale della
chiesa era ancora intatto; in seguito fu demolito da un boscaiolo di S. Croce di Caramanico per rendere più agevole il passaggio dei suoi muli con l’ingombrante carico di legna. Del luogo sacro rimangono solo pochi resti della chiesa che mostrano ancora
ampie zone con intonaco dipinto. Il cenobio si sviluppava oltre, per circa 15 metri, seguendo la parete rocciosa. Le mura di valle non sono più visibili anche se se ne intuisce la direzione sotto il cumulo dei detriti e dei rovi”. (Notizie tratte da un cartello
informativo del luogo realizzato dall’Archeoclub di Pescara, Coop. Majambiente – Tel. 085/922343). L’intonaco sbreccato delle vecchie mura portava ancora i graffi di un probabile calendario, tra incisioni di serpenti e di pulcini, sotto l’ombra
delle ortiche e di piante rampicanti. Continuavamo a percorrere la Valle dell’Orfento fino a risalirla tutta lungo la Rava dell’Avellana, attraverso un percorso interminabile che serpeggiava ripido nel bosco, tra sterpaglie richiuse di vegetazione ed il vecchio letto di una slavina.
Ci sono stato con un gruppo di firenze accompagnati dalle guide. bello davvero, purtroppo con una gita si cammina poco.
RispondiEliminaHo impiantato i peperoncini, anche quest'anno sono nati bene. ti saluto
Anche a me sono nati, e piano piano diventano sempre più belli, speriamo che pizzicano come gli altri!!
RispondiEliminaUn grosso abbraccio