Monte Cardito e i colori del tramonto
Fin da bambina sono sempre stata accompagnata da un pensiero che riguardava i colori: mi sono sempre posta la domanda se quei toni fossero effettivamente così oppure il frutto della percezione
dell’occhio umano. È risaputo che gli animali vedono colori diversi rispetto ai nostri, quindi non sarebbe così tanto assurdo pensare che anche tra le persone possano innescarsi percezioni
disuguali. Il mio rosso potrebbe essere il blu di qualcun altro, innescando predilezioni differenti e differenti stati d’animo. Anche se esistono macchine fotografiche e telecamere che
riprendono in maniera oggettiva, tuttavia sono sempre arnesi tarati dall’uomo, quindi non sono in grado di fornire realtà con risposte assolute. Per questo insisto sempre nel dire che la realtà
non esiste, ma che è solo il frutto della nostra percezione. I colori sono fondamentalmente delle vibrazioni, con precise lunghezze d’onda, potremmo addirittura vivere l’incubo di vedere (con il
nostro occhio umano) un mondo assolutamente monocromatico, concessore solo di onde elettromagnetiche. Con questa premessa i colori potrebbero addirittura diventare un suono. È una
sinestesia molto romantica che mi piace tanto pensare. In fondo, così come è limitato il nostro spettro visibile lo è anche altrettanto quello sonoro: non siamo in grado di percepire né gli
infrasuoni né gli ultrasuoni, vibrazioni al di fuori del campo uditivo, sotto la soglia dell’udito e sopra la soglia del dolore. Quindi potrebbe anche essere possibile che le onde sinusoidali dei
colori siano percepibili in quei precisi campi, certamente non dall’orecchio umano, ma da altri apparati uditivi. Siamo dotati di un filtro perfetto (i nostri organi sensoriali) per percepire tutte
queste vibrazioni, per ammirare tutta l’assoluta e relativa bellezza dei colori. Come è possibile che la quotidianità li dia così facilmente per scontati? Ogni sera, sulle montagne, accadono i
miracoli. La Natura si lascia scivolare addosso tanta di quella di energia da vestirsi d’incanto. Tutto si infuoca e poi si distende, animandosi di un’antica passione, vecchia quanto il genere
umano in grado di percepirla. Da Monte Cardito, sopra Campotosto, ammiravamo tante di quelle montagne da perderne il conto. Corno Grande e Corno Piccolo percepiti da lì
sembravano un corpo unico, seguiti da Intermesoli e Monte Corvo, che con quella luce si addolcivano in ogni loro angolo. Pizzo Camarda mostrava il suo lato più aspro, ma tutta quella
durezza era poi destinata a perdersi sulle linee morbide di Monte Ienca e Monte San Franco. Alle nostre spalle i Sibillini mostravano le loro elevazioni più alte con Monte Vettore e la
Cima del Redentore, mentre il sole correva su tutte le soglie liminari, infuocando i profili di toni caldissimi, al limite tra la realtà e l’allucinazione. La catena della Laga si imponeva su di noi
con la sua mole possente, percepita così vicino, pareva un’enorme muraglia su cui si proiettava un empireo caleidoscopico. In progressione dopo il tramonto il cielo si
tingeva in un rosa allucinante, quasi sintetico, troppo assurdo da trovare in Natura, eppure era proprio così, nella sua veste più concreta possibile. L’amaranto bruciava le ombrose tonalità dei
boschi, che accollati alla base delle montagne parevano porgli sostegno nel loro slancio verticale. Nel mezzo di tutto questo giaceva silenziosissimo il Lago di Campotosto. Con la sua
superficie piana, in parti ghiacciata e in parti fluida, rivelava le rifrangenze di ogni delicatissimo taglio cromatico: faceva da testimone al cielo, così incredibile di bellezza, sottolineando
anch’esso la veritiera manifestazione di quei colori. Il sole era tramontato proprio sulla cima del Terminillo, tutta quella linea di fuoco percorreva lunghissime distanze andandosi a perdere
chissà dove. Come eravamo fortunati ad essere lì, in quel preciso momento, ad assistere a tale rivelazione. Mano mano che le tonalità calde si stemperavano, da dietro le montagne salivano itoni del grigio, ambasciatori della notte. Quello spicchio di luna trovava finalmente compagnia con Venere, venuta a trovarla come d’abitudine, adesso come nel Principio. Quanto siamo
piccoli di fronte a tutto questo. All’ombra del mondo vivevamo la nostra notte, mentre sotto di noi i piccolissimi lumi artificiali identificavano la posizione dei paesi. Tornavamo così, al buio
di quella tiepida luna, senza nemmeno l’esigenza di accendere una lampada frontale. Vivendolo fin dall’inizio, il buio ci permetteva di vedere. O meglio, di guardare. Sentivamo quella notte,
facevamo parte di quella terra, ne eravamo ombra ed estensione. In fondo, eravamo la stessa materia di quel tramonto.
splendida carrellata di foto! In effetti è possibile una percezione diersa dei colori, io non ci avevo mai pensato...Assistere ai tramonti o alle albe mi ha fatto sempre sentire in sintonia con l'ambiente circostante...
RispondiEliminaComplimenti per le bellissime foto!
RispondiEliminafoto stupende
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