sabato 29 marzo 2014

Anello degli Eremi Celestiniani: Santa Maria de Cryptis, Santa Croce e Sant'Onofrio al Morrone

La montagna del Morrone si ammorbidiva sotto un profilo arrotondato, trovando il contrasto solo nei canali strapiombanti. Ogni volta stimavo la scelta dei Santi di accostarsi alla visione più sublime della Natura, dove le sue forze entravano in gioco tra burroni e voragini, e il limite umano rimaneva sempre indietro. Ilversante meridionale  del Morrone sembrava lacerato da un’artigliata diabolica, e proprio sul ciglio di uno di questi fossi scoscesi sorgeva l'eremo di Sant'Onofrio, l'ultima dimora di Celestino V. Intercettavamo un comodo sentiero che da Badia Morronese saliva in direzione del Colle delle Vacche, dove unrifugio non custodito aveva il privilegio di ammirare la parte alta della montagna. Superati i canali dell’Occhio Bianco e della Valle dell’Inferno, scorgevamo dietro enormi macigni l’eremo di Santa Maria de Cryptis al Morrone. “In capo del Cerrito, la Cappelluccia di Santa Croce, della quale per distanza di mezzo miglio in circadi lunghezza, si va per una pianura nominata ‘le vicende’, et se arriva al pede del monte Morrone, nel quale sta la grotta dove dimorò per alcun tempo San Pietro Celestino, appiedi della quale si trova la Ecclesia di S. M. in Ruta.” Citazione tratta da “Rassegna Abruzzese di Storia e Arte” scritta da GiuseppeCelidonio nel 1898. Questa era l’unica notizia storica sull’eremo di Santa Maria de Cryptis, dimenticato per secoli da tutti e fino a pochi anni fa anche sconosciuto nell’ubicazione. La grotta chiudeva parzialmente il suo ingresso con un muro di epoca medievale, nascondendo all’interno l’incisione di tre crocisegnate sulla roccia. In linea d’aria, a meno di un chilometro, la piccola chiesetta di Santa Croce sorgeva solitaria sulla sommità di un rilievo, mantenendo il legame visivo con la Grotta di Santa Maria. L’Eremo di Santa Croce o di San Pietro è visibile da buona parte della Valle Peligna per la sua magnifica posizione sullasommità del colle ove, molto più in basso sui primi dirupi, sorge anche l’Eremo di Sant’Onofrio. È il secondo romitorio fatto costruire da Pietro sul Morrone, probabilmente intorno al 1260, dopo quello di Santa Maria. Diverse testimonianze del processo di canonizzazione narrano di aver visto Pietro in Santa Crocenell’arco di diversi anni ed uno dei testi racconta di averlo visto compiere un miracolo nella vicinissima località detta “Il Vellanito”. Sull’importanza e la funzione che il luogo di culto ebbe nel passato i pareri degli studiosi sono piuttosto discordi. Alcuni sostengono che in Santa Croce vi fosse un cenobio, altriparlano solo di una modesta cella eremitica. A giudicare da ciò che ne rimane è difficile immaginare che un tempo potesse esservi un cenobio, per quanto modesto: anche le testimonianze dei secoli precedenti parlano sempre e solo di una “cappelluccia”. La cappellina, coperta da una volta a botte,è di modeste dimensioni: all’interno solo alcune nicchie e un altarino diruto. Oltre all’ingresso principale troviamo, lateralmente, un altro piccolo ingresso ora completamente chiuso. La finestrella absidale è costituita da una stretta fessura. Il luogo di culto ha sicuramente visto periodi migliori e numerosieremiti si sono succeduti sulla cima del colle, ma la crisi della pastorizia ed il conseguente abbandono dei pascoli del Morrone hanno determinato la sua lenta decadenza: per secoli il luogo di culto era vissuto forse solo in funzione della società pastorale. Il Polce in un suo libro sulla Valle Peligna parla di eremiti che, aiprimi del Novecento, dimoravano ancora nella minuscola cella. (Citazione tratta da “Eremi d’Abruzzo – Guida ai luoghi di culto rupestri”, Carsa Edizioni). Chiudevamo il percorso ad anello in direzione dell’Eremo di Sant’Onofrio, scendendo il ripido canale che lo fiancheggiava alla sua destra. Tra salti di roccia, appigli ed arbusti, scoprivamo solo alla fine che quel percorso erada farsi solo in salita. Venivamo ripagati da tutti gli sforzi con l’ingresso aperto della Chiesa, finalmente potevamo ammirare gli affreschi duecenteschi dell’antico oratorio, dove la quiete traspariva dai colori, ispirando all’anima una profonda sensazione di pace. 

domenica 16 marzo 2014

Monte Tilia da Leonessa e la Torre Angioina

Monte Tilia sovrastava l’abitato di Leonessa, proteggendolo ad Ovest con la sua conformazione grandiosa, così importante da lasciar presupporre il forte legame tra quella comunità e la suamontagna. Fino al 1927 anche queste erano terre d’Abruzzo, passarono alla provincia di Rieti durante il periodo del ventennio fascista. L’appartenenza abruzzese si leggeva anche nellaconformazione di alcuni lacerti di cinta muraria che culminavano a 1254 metri di quota inglobando un’antica torre angioina: quello era il tipico assetto di fortificazione dei castelli-recinto di pendiodiffusi in Abruzzo. Monte Tilia segnava il suo versante a Nord-Est con un impianto di risalita ormai dismesso da anni, da lì partiva un percorso che compiva un anello su tutta la montagna,lasciando scoprire nuove visuali sul territorio: la più inedita fra tutte, per me, era quella rivolta al Gran Sasso, con la lettura quasi esclusiva di Monte Corvo e Monte San Franco. La primavera davasegno dei suoi risvegli con le prime fioriture di crochi ed erba trinità, la neve si tratteneva nelle zone d’ombra, ma ormai era inevitabile il rinnovo della vita, con il calore del sole chefecondava la terra. I monti Reatini si vestivano nelle parti sommitali del tratteggio di alberi stilizzati, che posti a contrasto con la neve, rendevano il gioco di trasparenze e velature. La cimadi Monte Tilia si deturpava per mano dell’uomo a causa di una vecchia sciovia abbandonata, così come alcune strutture ricettive poste nei pressi del Laghetto: di quei locali ormai ne rimanevanosoltanto le mura dismesse ed il ricordo di remote stagioni invernali. Il percorso proseguiva al di sopra dei Prati dell’Acquaro, lasciando scoprire la bellezza del Fosso Fascino diLeonessa. Una deviazione del sentiero dal suolo marcato conduceva alla Torre Angioina: attraverso una piccola serie di brevi saliscendi si usciva dal bosco con la sorprendente visionedella maestosa torre a nove lati scanditi da paraste. Venne fatta edificare nel 1278 da Carlo I d’Angiò al fine di rafforzare i confini del suo regno. Una scalinata attrezzata da pochi anni dava accessoalla pancia della torre, dove una balconata si affacciava sull’abitato di Leonessa, lasciando ammirare dall’alto la sua bellissima conformazione a mandorla. 

sabato 15 marzo 2014

Il Rifugio del Monte da Prato Selva

Il bosco sopra Prato Selva viveva pienamente il suo inverno, con l’ombra degli alberi che si estendeva sulla neve come un pentagramma silenzioso. La luce del mattino filtrava tra i ramispogli senza incontrare molti ostacoli, diffondendosi ovunque come una dichiarazione di quiete. Salivamo in direzione del Rifugio del Monte, per ammirare la bellezza del suo punto di vista.Mano a mano si scorgevano alcune balze affilate su Pizzo d’Intermesoli, che fuoriuscendo dalla neve disturbavano l’armonia di quella grandiosa coltre bianca. Il Fosso del Montesembrava la pancia dell’inverno, si caricava di un potenziale pauroso come a voler sottolineare la superiorità assoluta di Monte Corvo. Il Rifugio del Monte si inseriva in uno degli scenaripiù affascinanti e selvaggi del Gran Sasso, attualmente gestito su prenotazione, tiene aggiornate tutte le sue attività nel suo sito web: www.rifugiodelmonte.it

domenica 9 marzo 2014

Santa Maria della Croce di Assergi

La strada fondovalle del Vasto lasciava scoprire, lungo il suo cammino, i ruderi della chiesa di Santa Maria della Croce. Semi-nascosti dalla vegetazione si individuavano soprattutto grazie ad una piccola tabella dell’Archeoclub, da lì lo sguardo si alzava perlocalizzare il sito d’interesse, che si trovava ai piedi della parete rocciosa. Ciò che rimane della vecchia costruzione, oltre il suo muro a valle, è la parte absidale i cui resti chiudono dei piccoli vani sotto roccia. Buona parte del corpo della costruzione,quello verso valle, doveva essere scoperta, e costituiva una specie di sagrato della chiesa. È invece evidente la copertura della parte antistante l’abside dagli scarsi resti che comunque ne lasciano intuire la planimetria. Ai due spigoli della costruzione sinotano infatti le imposte di volta della copertura della zona antistante l’abside. A pochi metri dalla chiesa si nota un altro piccolissimo riparo parzialmente chiuso da mura, nel cui interno vediamo una vasca di raccolta dell’acqua. A questo luogo diculto della bella Valle del Vasto il popolo di Assergi donò, nel 1525, una vicina cava di pietre per macine da mulino. Il reddito derivante dalla cava doveva servire alla manutenzione della chiesa. Non sappiamo fino a quando la chiesa fu aperta al culto,ma è probabile che il terremoto del 1703, che distrusse moltissimi paesi, causò il crollo anche di S. Maria della Croce. Realizzazione Archeoclub – Pescara – Majambiente. (Informazioni tratte da un cartello informativo del luogo).

Anello di Assergi, Monte di Aragno e la Valle del Vasto, percorrendo le terre della Resistenza

Attraversavamo i paesi di Assergi e Camarda investiti dalla luce pacata del mattino. Ogni tanto usciva qualche vecchio abitante, rimasto fedele alla sua casa, e ci salutava con una  gentilezza dialtri tempi, portatrice di auguri. Nei loro occhi si leggeva una consapevolezza diversa dalla nostra, per loro la montagna manifestava più incognite che svaghi. Una strada di fondovalleraggiungeva Aragno, che raccoglieva nella parte alta tutto il suo passato: vi erano case vecchie e abbandonate, devastate dal tempo e dal terremoto, rivestite di rovi e muschi, e inabissate nelsilenzio di volte sfondate. Settant’anni fa in quelle case si vociferava sulla Resistenza, si aveva paura, e si cercava di schivare lo sguardo tedesco. Aragno era stata la culla dellaResistenza armata aquilana, proprio qui si innescarono le direttive dell’organizzazione partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Alle porte della montagna trovavamo i sentieriper il Monte di Aragno, ammiravamo la catena occidentale del Gran Sasso rivestita dal candore della neve, su cui nuvole sfilacciate proiettavano la propria ombra. Sotto di noi la Valle delVasto giaceva come un deserto, spesso spoglia e senza ripari, si componeva di colline e saliscendi prima di toccare il fondo boscoso verso il letto del fiume. Diversi casolari abbandonatidavano memoria della presenza dell’uomo, ma uno tra tutti era quello che aveva segnato la Storia: il Casale Cappelli. Erano passati molti anni dal triste episodio che vide questo luogo teatrodi morte, di cui ormai ne rimanevano soltanto poche mura pericolanti ed una lapide affissa alla memoria di Giovanni di Vincenzo. Il 4 maggio 1944, un piccolo gruppo di sei partigiani siera rifugiato in questo casolare a pochi chilometri da Assergi: si erano attardati in paese per raccogliere informazioni e viveri, mentre il resto della brigata aveva già raggiunto un altro riparonel bosco del Chiarino. L’imbrunire fece rimandare la partenza all’indomani, chissà quanti sogni di libertà animavano le loro menti, prima di perdersi nel sonno, al riparo dell’antico casolare,anche noto come Casale Jenca. Ma intorno alla mezzanotte, a seguito di una soffiata dei repubblichini, il casolare fu circondato da un centinaio di nazifascisti che con facilità asserragliòla stazione, con la morte immediata di Giovanni di Vincenzo, colui che era di guardia. Furono tutti presi, ad eccezione di uno che riuscì a dileguarsi. Un triste capitolo di storia della Resistenzaabruzzese veniva scritto su queste pietre, ormai sconnesse e fatiscenti, intricate di rovi e fasci di liane. Tornavamo ad Assergi seguendo il corso del fiume, lo stesso percorso dei nostri progenitori.

Escursione organizzata dal CAI di Isola del Gran Sasso, coordinata da Luciano del Sordo.
Per approfondimenti sugli eventi storici relativi alla Resistenza armata aquilana: “L’Aquila dall’armistizio alla Repubblica 1943-1946” di Walter Cavalieri, Edizioni Studio 7 L’Aquila, 1994.