domenica 27 maggio 2012

Anello di San Vittorino in mountain bike

Dalle strade principali più trafficate se ne diramavano altre secondarie quasi completamente deserte, i prati di San Vittorinosi disegnavano di percorsi avvolti di pace, talmente silenziosi da apparire isolati, e invece non era così, avevamo la calma e latranquillità a poca distanza dai centri abitati. La carrareccia tagliava enormi campi di grano, impreziositi dal rosso scarlattodei papaveri che ne punteggiavano la chioma d’oro, mentre il vento accarezzava tutto, lasciando flettere le spighe e spargendopollini e profumi. All'interno delle faggete l'ombra ci refrigerava dal caldo intenso, tutto mi appariva come nuovo, la bicicletta mi donava nuovi occhi.

domenica 20 maggio 2012

Anello di Collebrincioni in mountain bike passando per i laghetti

La bicicletta mi appariva come una nuova lente di lettura, percepivo quello che mi circondava in maniera diversa, forseun po’ più distratta ma senza dubbio intensa. Scivolava permettendo di compiere lunghe distanze, tra sterrate, pratie singoli sentieri di montagna. Da Collebrincioni salivamo in direzione del Laghetto di Aragno, tra le abbondanti fiorituree i pascoli di alta quota. Ammiravamo la bellezza semplice dei prati sommitali, azzittiti e impreziositi dalla maestosità del Gran Sass0.

domenica 13 maggio 2012

Il Palombaro Lungo di Matera

Quell’enorme cisterna assumeva la lirica di una maestosa cattedrale, non immaginavo che sotto terra si potesse contenere così tanta poesia: non volendo lì sotto si era costruito un tempio, ed iomi sentivo fortunata ad aver varcato quella soglia. Fuori il sole sopra i Sassi di Matera portava una temperatura di 30 gradi, anticipandoci l’estate dentro una bolla di alta pressione,mentre sotto, al buio materno della terra, ci avvolgevamo nell’ombra di una notte profondissima, così lontana da noi da farci confondere con l’anticamera dei nostri sogni. I ristagni d’acquasegnavano sulle pareti imbiancate pentagrammi di stratificazione: la Natura, inconsapevole, aveva disegnato i suoi fregi, decorandosi da sola di una bellezza così leggera da voler schiarire il buio.

Il Parco della Murgia Materana e la Chiesa della Madonna degli Scordati

Le Murge si lasciavano percorrere attraversando sentieri calcati, le tante chiese rupestri trasudavano dalla propria pietra discorsi millenari di incisioni lontanissime. Il caldo intenso di una falsa estate si esaltava dell’odore forte del timo e dell’origano: mi portavano il ricordo della mia terra, così simile per questi aspetti ai contrafforti bassi del Gran Sasso. Tra la chiesa rupestre di SanVito e quella della Madonna delle Tre Porte, percepivamo l’umore di una terra santificata dalla solitudine, che anche se costantemente visitata dai turisti, riusciva a mantenere inalterata la sua quiete. La Madonna del Melograno simboleggiava con quel frutto la vita, così nascosta nello squarcio della gravina, così impercettibile dalle terre distanti, ma nonostante questofortemente presente. Quelle cavità erano state addomesticate dall’uomo che le aveva fatte proprie ma rispettandole nell’essenza, trovavo in tutto questo un sapiente equilibrio gestito dal buon senso. Altrove, lontano dai circuiti più turistici, giaceva la Chiesa degli Scordati, il suo silenzio e il suo stato di abbandono raccoglieva la mia attenzione, raggiunta attraverso il passaggio digrotte basse comunicanti, che si aprivano di volta in volta sullo strapiombo della gravina. La luce entrava dall’apertura delle grotte, filtrando tra le foglie delle piante di fico, quel caldo così battente non ci dava tregua, mentre, sotto il cielo, la tomba di un ignoto riposava da tempo immemorabile. A poca distanza dalla Madonna delle Vergini, in contrada Murgecchia, vi è una piccolachiesa denominata “Madonna dei Derelitti”, anch’essa meta di culto dei pellegrini. Per raggiungerla occorre piegare a destra, attorno a una sequenza di massi che lasciano intravedere il tetto della chiesa. L’ingresso è protetto da un’inferriata. Dai materani è meglio conosciuta come “Madonna della Scordata”, che è un termine dialettale equivalente a “Madonna dell’Abbandonata”,ma un’antica iscrizione murale, in latino, sulla parete interna della chiesa ne dà questa denominazione: “questa chiesetta dedicata alla beata Vergine Maria dei Derelitti, rovinata, fu restaurata nell’anno 1866 a spesa e con cura per impegni assoluto dal Reverendo don Michele Virgintino”. Sul piano della chiesa sono state rinvenute delle piccole tombe, forse di bambini,forse di quei derelitti di cui l’iscrizione fa menzione. La chiesetta ha una facciata in muratura, con davanti uno spazio semicircolare, al centro del quale è ubicata la chiesa rupestre. Presenta una facciata costruita in conci di tufo. L’interno a pianta rettangolare è scavato nel masso roccioso. La struttura architettonica interna è estremamente semplice. L’interno dellachiesa è a pianta rettangolare con pavimento in mattoni in cotto, con al centro una fila di mattonelle maiolicate bianche, che partendo dall’ingresso giunge dinanzi all’altare centrale, a testimoniarne le vecchie tradizioni di ex voto. Vi è un altare centrale sul quale si trova un’immagine della Madonna, di recente fattura in sostituzione di quella originale trafugata. Sullato destro vi è un altro altare, con un antico crocifisso ligneo, appartenuto all’antico Convento Agostiniano (1595), e collocato lì, nell’anno 1866, dal Reverendo Padre Michele Virgintino, monaco agostiniano al tempo del restauro della chiesa, come rivela la suddetta iscrizione. Oggi questo crocifisso si trova presso la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici, ed è statocosì sottratto all’incuria e alle barbarie dei vandali. Sulla parete al lato sinistro vi sono tracce di affreschi molto deteriorati, si rivela con più evidenza un affresco raffigurante San Nicola di Mira. Vi è inoltre un’altra iscrizione,  formulata dal predetto P. Michele Virgintino nella sua opera di restauratore e di benefattore, si tratta della seguente preghiera allaMadonna: “Benedetta sia Santa Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria per il vostro concepimento: Prega per noi Dio Padre di cui hai partorito Suo Figlio concepito dallo Spirito Santo” Cento giorni di indulgenza per chi recita questa preghiera 1866. (Testo tratto da un cartello informativo del luogo).

sabato 12 maggio 2012

I Sassi di Matera e la Corte dei Pastori

Finalmente tornavano le rondini, non ne vedevo così tante dall’anno scorso a Santo Stefano di Sessanio. Mi tornavano nel cuore portandosi dietro la malinconia della meravigliosa estatepassata, con il loro canto e le traiettorie dirette. Si tuffavano nel cielo e planavano velocissime sopra i Sassi di Matera, la loro leggerezza viveva del riverbero caldo della pietra, che dal bassodella gravina dispensava vita e insetti, compiendo il tutto in un quadro bellissimo. Quella terra portava in grembo la sua storia, con le sue grotte e le sue cavità addomesticate. I tramontitornavano caldi come quelli di settembre, ritrovavamo gli scorci e la bellezza della sera, con le pietre lavorate e la gentilezza della gente. La Corte dei Pastori ci accoglieva adesso come allora con ilsuo scorcio unico sull’antico abitato, tra il rione dei Sassi e l’affaccio sulla gravina. La vecchia pianta di fico manteneva ancora tra i rami la sua scala di legno, più intenzionata a volerraggiungere il cielo che i propri frutti. Eravamo felicissimi di trovarci nuovamente lì, ed ero felicissima di questo meraviglioso regalo di compleanno.

B & B MATERA LA CORTE DEI PASTORI NEI SASSI - Vicolo Bruno Buozzi, 5 – 75100 MATERA (MT) Italia – tel.: 0835330580

Il Castello di Melfi

Il caldo intenso della primavera ci accompagnava nel nostro percorso in moto, prima di raggiungere Matera  volevamo andare a Melfi, per ammirarne il bellissimo castello, e l’abitato di Venosa, con l’intenzione di visitarne l’Incompiuta. Notavo in tutti i castelli di Federico II una maestosità misteriosa, quell’enorme fortezza normanna si innalzava sull’antico abitato di Melfi prendendosi dasolo tutta l’importanza. Una guida turistica ci designava le caratteristiche del castello, le riporto di seguito. Temevamo l’ignoto, cercavano di esorcizzare il buio oltre la morte rincorrendo l’immortalità. Ed erano raffinate, amanti del bello e rispettose degli Dei. Così le genti che vivevano nel territorio Nord della Basilicata, fra il VII ed il III sec. a.C. appaiono nei ricchicorredi delle loro tombe, ricostruite nelle sale del Museo Archeologico di Melfi che racchiude una collezione di fulgide armature, di raffinati gioielli, di oggetti parlanti di un tempo appartenuto a uomini, donne, bambini, sacerdoti. Melfi godeva di una posizione strategica, ai confini con la fiorente Daunia, percorsa da fiumi che, come autostrade dell’antichità, lepermettevano di essere in collegamento con l’area etrusca campana e la costa jonica appena colonizzata dai Greci. Queste favorevoli coordinate geografiche avrebbero convinto l’imperatore Federico II di Svevia a scegliere Melfi come sede di uno dei suoi castelli e come luogo da cui emanare, nel 1231, le “Costituzioni Melfitane”, corpo di leggi rimasto in vigore finoall’epoca moderna. Le sepolture ricostruite nelle diverse sale del museo ridanno vita a valorosi guerrieri sepolti con le loro lance, con le loro armature (elmi, schinieri, corazze forgiate su misura, cinturoni, scudi) e con gli oggetti che rappresentavano il grado sociale del defunto, come corredi da banchetto: bacili in bronzo per la bollitura delle carni, che testimoniano i contatti con lepopolazioni etrusche della Campania, spiedi, vasi per bere di produzione corinzia, prova di relazioni con le genti di stirpe greca che si erano insediate a partire dal 640 a.C. sulla costa ionica (Metaponto), crateri, olle (grandi contenitori in terracotta per contenere e conservare derrate alimentari), attingitoi. Le ceramiche, un unicum quelle di provenienza canosina (latradizione della lavorazione della ceramica in Puglia ha infatti origini lontanissime), con i vasi che si caratterizzano per la presenza, sui manici o all’estremità, di volti femminili a diverse grandezze, la liturgia dei banchetti ed il loro valore sociale. Se “molto si miete in guerra, per un raccolto sempre scarsissimo” come si legge tra gli scritti di Quinto Orazio Flacco, quello che siraccoglie invece dell’arte della guerra in questo museo ha il sapore della ricchezza e del potere. Le armature dei capi guerrieri, che erano dapprima opliti (soldati di fanteria) e poi divennero cavalieri, fossero dauni o lucani, sono lì, fiere e splendenti come chi le doveva aver indossate o commissionate come status symbol, ad accogliere il visitatore. Persino i cavallidovevano seguire il piglio del comando di chi li possedeva, ed erano anche loro addobbati con maschere in bronzo (prometopidia) e pettorali da parata, e tanto per ribadire il valore del defunto, assieme alle proprie non di rado venivano sepolte assieme anche le armi che costituivano bottino di guerra. Qui nel museo ben lo si vede, ad esempio, una tomba rinvenutanella località dell’antica Ferentum, oggi Lavello e qui ricomposta. (Tutte le informazioni riportate in corsivo sono state tratte da “Archeonauta – itinerari nel tempo a spasso per la Basilicata”, i cui testi sono stati scritti da Margherita Romaniello).

Museo Archeologico Nazionale “Massimo Pallottino” a MELFI, Via Castello – tel. (+39) 0972 238726. Orari: lunedì 14.00-20.00; martedì-domenica 9.00-20.00; chiusura settimanale lunedì mattina.

Monte Vulture e i Laghi di Monticchio

La mattina ci svegliava con il rigoglio assoluto del verde intenso della Basilicata. La zona del Vulture era un’esplosione di tonalità di verde, che, dalle gradazioni più tenui a quelle più cariche, riempiva tutti i punti di vista. Oggi era il mio compleanno, e comeregalo ricevevo un viaggio in moto verso Sud, ad ammirare la zona del Vulture e i Laghi di Monticchio, Melfi, Venosa, l’altopiano delle Murge e i Sassi di Matera. L’esuberanza di tutta quella vegetazione lasciava trasparire lo specchio d’acqua dei Laghi diMonticchio, così placati a riempire quei vecchi coni vulcanici ormai estinti da anni, inseriti in quella immensa bellezza fatta di calma e ninfee. Incastonate nel verde intenso del Monte Vulture, uno dei più antichi vulcani dell'Appennino meridionale,appaiono i laghi di Monticchio. Raggiungendo le verdissime sponte del lago piccolo, che si accorge di trovarsi accanto ad alcuni gioielli più preziosi della bella e misteriosa terra Lucana. Questa era stata una delle patrie di Federico II di Svevia, il qualeera solito cacciare in questi boschi con il suo falco; inoltre si racconta che in questi boschi trovò rifugio Carmine Donatelli, detto "Crocco", il brigante di Rionero che con la sua banda combatté una disperata battaglia contro i Piemontesi. Dal 1971la zona è stata dichiarata riserva naturale, per conservare integro l'habitat ideale per la Brahmea Europea. (Tratto da qui). Quei due laghi craterici sorgevano a circa 600 metri sul livello del mare, ed erano custoditi da una folta vegetazione fatta di abeti,faggi, pini, castagni, ontani, frassini, aceri e tigli; mentre le acque trovavano l’abbondanza di tinche, carpe e anguille. Alla falda sud occidentale del Vulture, sottostante la badia di San Michele, a poco più di 600 metri di altitudine, si estende una concia in cuiocchieggiano al cielo due laghetti vulcanici, ospitati in depressioni imbutiformi e pseudocircolari, l’uno avente una superficie di 16 ettari ed è detto Lago Piccolo, l’altro una superficie di 38 ettari, detto Lago Grande. Il Lago Piccolo ha unaprofondità di 35 metri  ed un circuito di 1800 metri; il Lago Grande ha una profondità di 38 metri ed un circuito di 2700. I due laghi hanno forma ellittica e si alimentano per via subalvea attraverso numerose polle; sono separati da una lingua di terralarga 215 metri, ma sono comunicanti attraverso un canale sotterraneo che porta acqua, nella misura di 57 litri al secondo, dal Lago Piccolo al Lago Grande, avendo il Lago Piccolo il pelo dell’acqua sette centimetri al di sopra del corrispondente livellodel lago più grande. Dal Lago Grande un emissario attraversa il varco della Creta, percorre il profondo vallone della Noce e scarica le acque nel fiume Ofanto presso lo Scalo di Aquilonia, in prossimità del Ponte di Pietro dell’Olio. I due laghetti, purcomunicando tra loro, presentano un diverso colore: dalle acque verdastre del Lago Piccolo alle acque verde oliva del Lago Grande ed entrambi hanno la temperatura più elevata dei laghi d’Italia. Nelle acque dei due laghi, cinti ed ombreggiati da unafolta boscaglia di roveri e di faggi, galleggiano i fiori della ninfea (Ninphea alba), vegetanti solo in Basilicata nei laghi di Monticchio, pianta dai lunghissimi steli, simili a lacci, che si sprofondano nei laghi e formano in superficie un suggestivotappeto di fiori bianchi che sembrano camelie tra foglie verdi, larghe e rotonde. (Tratto da qui). Monte Vulture si rifletteva sullo specchio d’acqua del Lago Grande, il desiderio di ammirare tutto da lassù ci portava a raggiungerne la cima, facilmente accessibilegrazie alla strada che da Rionero portava alla sua sommità dove c’era una stazione per ponte radio.